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Soccorso Violenza Sessuale

Ultimo Aggiornamento: 16/11/2006 01:17
16/11/2006 01:17
 
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COMPIE DUE ANNI IL CENTRO DELLA MANGIAGALLI, CHE SOCCORRE LE VITTIME DI ABUSI SESSUALI

Primo soccorso per donne violentate

E' solo dal 15 febbraio 1996 che, per legge, a essere offesa dalla violenza sessuale non è tanto la morale pubblica quanto e soprattutto la vittima. Che ha il diritto, pertanto, a un'assistenza psicologica, sociale, e medica.
Le nuove norme contro la violenza sessuale sono state probabilmente la spinta più significativa per la creazione, all'interno della clinica Mangiagalli di Milano, del centro Soccorso violenza sessuale (SVS), sorto esattamente tre mesi dopo l'approvazione della legge. "Chiariamo un concetto: non è che finora la donna non sia mai stata assistita dal punto di vista medico" puntualizza Alessandra Kustermann, ginecologa alla guida del centro dalle sue origini. "E' sempre successo che la vittima di una violenza sessuale si rivolgesse, anche se solo saltuariamente, al pronto soccorso degli ospedali. Di fatto però le nuove norme, mutando il tipo di reato, hanno messo l'accento sulla persona invece che sulla morale, conferendo così una giustificazione anche legale a un'iniziativa di salute pubblica diretta esclusivamente alle vittime di abusi sessuali".
Note di servizio
Il centro SVS, sorto il 15 maggio 1996, si trova a Milano in via Commenda 12, all'interno della clinica Mangiagalli.
Tutto il personale coinvolto ha una preparazione specifica, non solo sugli aspetti medici, ma anche su quelli psicologici, sociali, medico-legali e giudiziari. Oltre al servizio di pronto soccorso (c'è sempre una ginecologa reperibile), il centro mette a disposizione un ambulatorio, in funzione nei giorni feriali dalle 9 alle 17, che offre assistenza, controlli ginecologici, consulenze medico-legali, materiale informativo in varie lingue, ed è collegato con una fitta rete di servizi pubblici e di volontariato sociale.
Il centralino telefonico risponde al numero 579955.
Dal luglio scorso esiste anche l'Associazione violenze sessuali, in via Orti 17 che ha lo scopo di tutelare la vittima legalmente (per esempio cercando i finanziamenti per le cause) nei casi in cui non entra in funzione il gratuito patrocinio.
Si possono fare offerte al conto corrente 34232/7 presso la Banca regionale europea, agenzia 39, Milano.


Va detto che, pur essendo l'unico esempio nella penisola, il centro non è un'idea senza precedenti. Servizi pubblici e ambulatori del tutto simili esistono già in Gran Bretagna, negli Stati uniti, in Francia. E in effetti è stato proprio il servizio esistente presso l'ospedale di Parigi Hôtel Dieu, dove si sono recate la stessa Kustermann e altre ginecologhe prima dell'apertura dell'SVS, a funzionare da modello ispiratore. Queste le caratteristiche essenziali: orario continuato 24 ore su 24, e compresenza dell'assistenza ginecologica e di quella medico-legale. Se la donna decide di procedere contro il suo violentatore, infatti, ha bisogno che siano raccolte, al momento del fatto, tutte le prove possibili per un'eventuale denuncia.
"Quasi sempre di primo istinto la donna ritiene di non voler rendere pubblico quello che ha subìto, perché teme di incorrere in un secondo trauma" osserva la ginecologa milanese. "Scopo del centro è anche quello di aiutarla a capire che cosa è meglio per lei dal punto di vista psicologico". A questo proposito va ricordato che una donna ha a disposizione sei mesi per intentare un processo contro l'aggressore, tempi cioè superiori alla normale querela. "In molti casi può essere più utile, e non solo per una questione di principio, arrivare a un processo, che riconosca la violenza come tale e l'aggressore come colpevole" sottolinea la Kustermann. "Anche se può sembrare assurdo, non sono affatto rari i casi in cui la donna si lascia investire da sensi di colpa: "se non fossi andata in quella strada a quell'ora, se mi fossi vestita in un altro modo, se non avessi accettato una birra da un conoscente occasionale, se non avessi litigato con il mio partner questo non sarebbe accaduto".
La sensazione di aver lasciato che accadesse è una delle ragioni per cui la donna può decidere infatti di non denunciare il suo aggressore. per questo la ginecologa si dissocia da quei decaloghi, distribuiti da alcune associazioni, contenenti le indicazioni per non correre rischi (luoghi da evitare, abbigliamento più adatto, eccetera). "Si tratta di strumenti del tutto inutili, oltre che di messaggi concettualmente sbagliati. Anzitutto l'esperienza nostra e di tutti gli altri centri dimostra chiaramente che non esiste un luogo (neppure casa propria) in cui ci si possa sentire al sicuro, o un modo di vestire che scoraggi a priori il violentatore, o un'età a cui non si corre alcun rischio: basti pensare che una delle nostre assistite è stata violentata a 73 anni. Ma soprattutto" sottolinea la Kustermann "questi strumenti finiscono col far sentire la donna colpevole, se al momento della violenza non si era attenuta alle regole prescritte".
Il centro è aperto per 365 giorni l'anno. C'è sempre una ginecologa reperibile (sono state scelte appositamente solo medici donna, allo scopo di ridurre disagio e imbarazzo), che può essere chiamata dal medico di guardia, dall'infermiera dell'accettazione, o anche direttamente dalla polizia. La prima fase è l'accoglienza: la ginecologa ascolta il racconto della vittima e la conforta, secondo regole di comportamento predeterminate, e tempi variabili a seconda delle necessità.
Quindi la ginecologa stabilisce se è il caso di chiamare anche il medico legale, che è a sua volta reperibile e può quindi giungere sul posto (naturalmente solo se la vittima è d'accordo) nel giro di poco tempo.
"Può capitare che la vittima a priori dica: "non denuncerò mai il mio aggressore" spiega la ginecologa. "In qualunque caso noi cerchiamo di spiegarle che la decisione che sta prendendo subito dopo il trauma non sarà necessariamente quella che manterrà nel tempo. La invitiamo perciò a lasciarci procedere come se lei in futuro decidesse di intentare un processo; se così non sarà, butteremo via la prove raccolte". Secondo la Kustermann questo discorso aiuta il superamento del trauma. Spiega infatti: "E' importante che fin dall'inizio alla donna venga riconosciuto un ruolo di vittima. E' un modo per facilitare il processo di guarigione".
Se la donna non è disponibile al colloquio con il medico legale o se questo non viene ritenuto necessario, la ginecologa raccoglie comunque le prove necessarie a un eventuale processo: procede a un esame ispettivo generale (per verificare la presenza di segni di percosse ed eventualmente fotografarli) e quindi alla visita ginecologica (durante la quale può raccogliere tamponi per la ricerca di spermatozoi, indumenti con tracce di liquido seminale, eccetera) accompagnata dalla compilazione di un referto; gli elementi raccolti vengono inviati all'Istituto di medicina legale che li tiene a disposizione della vittima o dell'autorità giudiziaria per tutto il tempo necessario.

Dalle due alle cinque ore di visita

La sindrome da stupro
La violenza sessuale è un evento traumatico, le cui conseguenze si riflettono in due fasi.
La prima, immediatamente successiva alla violenza (fase di crisi acuta) è più tipica della violenza da parte di estranei.
Consiste in una reazione di forte paura a cui segue la negazione o la minimizzazione dell'evento, con l'illusione di poter fare come se nulla fosse accaduto, rabbia (spesso non solo verso l'assalitore) e senso di colpa, per aver "lasciato" che l'incidente accadesse o per avervi "contribuito".
La seconda fase è quella a lungo termine: fobie, insonnia, incubi notturni, disturbi dell'alimentazione (anoressia o bulimia), disgusto per i rapporti sessuali.
In molti casi la vittima tende a modificare radicalmente le proprie abitudini di vita: lascia il lavoro, cambia casa, si trasferisce in un'altra città, modifica il modo di vestirsi.

La visita nell'urgenza dura in media dalle due alle cinque ore. Qualche giorno dopo viene fissato un nuovo appuntamento con una ginecologa e un'assistente sociale, che insieme alla donna elaborano un progetto, prendendo contatto con una rete di servizi esistenti sul territorio (consultori, centri psicosociali, servizi di volontariato).
Bisogna distinguere infatti il caso della violenza da strada, che comporta soprattutto conseguenze psicologiche, e quello, di gran lunga più frequente, in cui l'aggressore è il partner o un familiare. In quest'ultimo caso può rendersi necessario il collocamento in una comunità segreta.
A differenza di ciò che comunemente si crede, il violentatore tipo non è lo sconosciuto appostato in un anfratto buio pronto ad assalire la prima fanciulla che gli capita a tiro. La violenza come crimine da strada rappresenta infatti una percentuale relativamente bassa del fenomeno. Molto più frequente è la violenza che ha come scenario le mura domestiche e come aggressore una persona ben conosciuta: un familiare, un amico, il partner.
Questo tipo di violenza, oltre a essere quella che più spesso si conclude con una penetrazione completa (vaginale, anale od orale), è anche quella che più raramente giunge ai banchi processuali e quindi nel computo delle statistiche. Quanto è più forte il legame di familiarità, infatti, tanto più la vittima tende a subire la violenza sessuale senza reagire. Quando poi a perpetrarla è il coniuge, la legittimità implicita nell'imposizione del debito coniugale porta la violenza alle sue forme più estreme.
A complicare la situazione si aggiunge il fatto che, nella maggior parte dei casi, l'aggressore nega decisamente la violenza oppure afferma che la vittima aveva espresso il suo pieno consenso. Affrontare un procedimento penale significa quindi per molte donne subire una seconda violenza, che può concludersi anche con un vero e proprio crollo psicologico.
A causa delle difficoltà nell'arrivare a una denuncia, o anche semplicemente a una domanda di soccorso, è molto difficile capire se le violenze sessuali siano in aumento rispetto agli anni passati. Infatti chi ha esperienza in questo campo sa bene che le denunce, che pure sono statisticamente sempre più frequenti, sono solo la punta dell'iceberg del fenomeno. "Secondo i dati della letteratura mondiale" precisa la Kustermann "le vittime di una violenza sessuale che procedono legalmente contro il proprio aggressore sono tra il dieci e il cinquanta per cento. Nonostante i notevoli progressi degli ultimi tempi, quindi, nella maggior parte dei casi le donne continuano a subire in silenzio".


Marta Erba

[Modificato da Pedagogista 16/11/2006 1.23]

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