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Violenza Assistita

Ultimo Aggiornamento: 15/11/2006 05:02
15/11/2006 05:02
 
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dicembre 2004




La famiglia è un contenitore di risorse, quindi di affetto, di cure, di educazione. La famiglia è anche il primo contenitore delle nostre tensioni, dei nostri conflitti, del nostro disagio.
Nelle famiglie di oggi, più ristrette rispetto al numero dei componenti, spesso isolate rispetto agli altri membri della rete primaria, esiste una tendenza a polarizzare questa duplice funzione e a costruire una forte barriera tra interno ed esterno: il passaggio tra ciò che è dentro e ciò che è al di fuori della famiglia è sempre più faticoso.
La famiglia può diventare quindi una rocca che protegge tanto quanto rinchiude al suo interno. I bambini sono molto protetti, si cerca di preservarli sotto tutti i punti di vista; ma sono anche molto indifesi rispetto al disagio vissuto all’interno della famiglia, con meno possibilità di farlo uscire all’esterno.
Anche i modelli di efficienza, di successo giocano un ruolo determinante: spesso l’apparenza di fronte agli occhi della società è vissuta come elemento fondamentale, quindi la famiglia tende a non far filtrare il suo disagio. Nella tipologia di famiglia arroccata su se stessa il disagio si amplifica, rimbomba tra le pareti domestiche, talvolta fino a manifestarsi sotto forma di aggressività e violenza.

Ma i bambini come vivono la violenza intrafamiliare? La violenza, anche se “normalizzata” nei comportamenti familiari abituali, è comunque un elemento confusivo. Il bambino non può avallarla, (perché percepisce la distonia tra quello che succede in casa e ciò che succede fuori, o tra il comportamento del genitore violento e dell’altro) né respingerla (perché proviene dalle sue più importanti figure di riferimento). Il bambino subisce la violenza senza comprenderla.

Per violenza o abuso al minore (vedi) intendiamo qualsiasi comportamento, volontario o involontario, da parte di adulti (parenti, tutori, conoscenti o estranei) che danneggi in modo grave lo sviluppo psicofisico e/o psicosessuale del bambino. Abuso è tutto ciò che impedisce la crescita armonica del minore, non rispettando i suoi bisogni e non proteggendolo sul piano fisico e psichico. Vi rientrano, dunque, sia comportamenti di tipo commissivo sia di tipo omissivo (legati cioè all’incapacità di fornire cure adeguate a livello materiale ed emotivo); sia comportamenti diretti sia comportamenti indiretti, come la violenza assistita.
Negli abusi all’infanzia rientrano quindi l’abuso sessuale, la patologia delle cure e il maltrattamento. Rispetto a quest’ultima tipologia di abuso, si fa una distinzione tra maltrattamento fisico e psicologico. Il maltrattamento psicologico (ad esempio quando il bambino viene svalutato, denigrato, umiliato, respinto o terrorizzato) spesso accompagna le altre tipologie di abuso. Una delle forme di maltrattamento psicologico è la violenza assistita.

Il Coordinamento Italiano dei Servizi contro il Maltrattamento e l’Abuso all’Infanzia ha proposto la seguente definizione di violenza assistita:
“Per violenza assistita da minori in ambito familiare si intende qualsiasi atto di violenza fisica, psicologica, sessuale ed economica compiuta su figure di riferimento o su altre figure significative, adulte o minori; di tale violenza il/la bambino/a può fare esperienza direttamente (quando essa avviene nel suo campo percettivo), indirettamente (quando il minore è a conoscenza della violenza), e/o percependone gli effetti”.
Quando il bambino si trova di fronte un genitore violento deve elaborare un paradosso troppo grande per lui: quale genitore è nel giusto? Qual è il modello da seguire? Sarò vittima o persecutore? O sarò entrambi?
Anche la violenza assistita, come tutte le forme di violenza sul minore, può avere delle ripercussioni, spesso gravi, sullo sviluppo del bambino. La violenza si ripercuote anche sui comportamenti dei bambini; alcuni indicatori possono essere cattivo rendimento scolastico, depressione, fino alla riproduzione delle dinamiche di violenza cui assistono (ecco perché si parla di ciclicità della violenza).
Il bambino riproduce la violenza perché la acquisisce come unico veicolo di sentimenti ed emozioni, l’unico modo di esprimere sentimenti e soprattutto legami.
Il bambino può subire una vera e propria devastazione anche rispetto alla costruzione del sé, con pesanti conseguenze sulla propria autostima (in questi casi spesso ridotta ai minimi termini): il bambino impara a sviluppare le proprie relazioni affettive secondo dinamiche estremamente violente o passive, oppure nell’ambivalenza tra ruolo di vittima e ruolo di persecutore.

Nonostante la frequenza dei casi e la gravità dei danni, l’esistenza e l’incidenza del fenomeno della violenza assistita vengono ancora sottovalutati. Si stenta a riconoscere il problema e la necessità di protezione anche in situazioni particolarmente eclatanti, dove minori vivono in nuclei familiari ove avvengono protratti e gravi maltrattamenti fisici e violenze sessuali ripetute.
Sono quindi necessarie: sensibilizzazione sociale rispetto alla definizione e percezione del fenomeno, risorse operative e strutturali adeguate, nonché formazione di tutte quelle figure che rivestono un ruolo educativo nei confronti dei minori (quindi non solo insegnanti, ma anche educatori sportivi, catechisti ecc.). Certamente - riprendendo le precedenti considerazioni sulla famiglia chiusa - il ponte fondamentale tra la questa e l’esterno è la scuola: gli insegnati e gli educatori scolastici sono i primi che possono rendersi conto delle difficoltà familiari e del disagio dei bambini e quindi sarebbe opportuno offrire loro adeguate opportunità formative in questo settore.
Oltre agli strumenti ed interventi di protezione sociale già esistenti, anche i bambini che assistono alla violenza devono poter trovare spazi e tempi in cui poter essere ascoltati, in cui poter trovare aiuto per:
- comprendere quello che gli succede;
- trovare la necessaria distanza da ciò a cui assistono;
- comprendere che quel comportamento non è in alcun modo determinato da loro (spesso tendono a sentirsi colpevoli di quanto accade);
- comprendere che loro sono altro dai propri genitori e che, viceversa, il mondo dei genitori è anche altro da loro.
Anche i bambini che assistono alla violenza devono poter essere accompagnati per trovare piano piano, passo dopo passo, un loro equilibrio, una propria dimensione.


Intervento di LiberaMente alla tavola rotonda organizzata dal Comune di Parma “Fuori e dentro casa - Donne e bambini”, Parma, 6 dicembre 2004





giugno 2004


Rifiuto, isolamento, umiliazione, aggressione verbale, abbandono, paura: sono alcune delle sensazioni che possono provare i bambini. Sono questi i fatti che distruggono il rispetto che i bambini hanno diritto di avere verso se stessi e che hanno l’effetto di alterare l’equilibrio emotivo e di danneggiarne la possibilità di dare il proprio contributo in questo mondo. E sono questi i fatti che costituiscono la violenza psicologica.
Talvolta l’aggressione verbale e la trascuratezza affettiva (emotional neglet), cioè il trascurare le emozioni del bambino, sono fenomeni isolati. Ma fin troppo spesso questi fenomeni si accompagnano alla violenza fisica e sessuale (physical and sexual abuse) e alla trascuratezza fisica (physical neglet). La violenza psicologica è al centro di ogni violenza commessa contro i bambini: le conseguenze più insidiose e a lungo termine di ogni forma di violenza, infatti, sono di natura emozionale.

Le distinzioni categoriali tra casi di abuso fisico, sessuale e psicologico sono puramente accademiche: ogni tipo di maltrattamento si connota di forme “miste”, avendo ogni abuso fisico quasi sempre effetti negativi sullo stato psicologico del bambino e, viceversa, potendo il maltrattamento psicologico essere accompagnato da comportamenti abusanti sul piano fisico. Per questo motivo, il termine “abuso” si viene oggi a configurare come qualsiasi comportamento, volontario o involontario, da parte di adulti (parenti, tutori, conoscenti o estranei) che danneggi in modo grave lo sviluppo psicofisico e/o psicosessuale del bambino. Abuso è tutto ciò che impedisce la crescita armonica del minore, non rispettando i suoi bisogni e non proteggendolo sul piano fisico e psichico. Vi rientrano, dunque, non soltanto comportamenti di tipo commissivo, ma anche di tipo omissivo, legati cioè all’incapacità di fornire cure adeguate a livello materiale ed emotivo.

Lo sviluppo del bambino richiede, da parte degli adulti, un impegno attivo, un’attenzione non soltanto dichiarata, che si traduca in specifiche capacità d’ascolto e di osservazione, nel rispetto delle caratteristiche e dei bisogni dell’infanzia, nella valorizzazione delle sue capacità. Occorre individuare i presupposti di un sano sviluppo cognitivo, affettivo e comportamentale; sviluppare efficaci metodologie e criteri di valutazione, che possano sorreggere ogni azione finalizzata alla protezione del bambino.

Le conseguenze di eventi traumatici vanno analizzate alla luce delle trasformazioni e delle riorganizzazioni dell’individuo nel corso dello sviluppo valutando, accanto a fattori legati alla natura e alla gravità dell’abuso, caratteristiche individuali, fattori di rischio e fattori protettivi presenti nel contesto familiare e socioculturale. Occorre studiare gli effetti della vittimizzazione in bambini di età diverse (e fasi evolutive diverse), considerando non solo come i rischi cambiano nel corso dello sviluppo, ma anche gli effetti della vittimizzazione nel tempo.

Nonostante gli esperti ritengano, come accennato in precedenza, che la violenza psicologica accompagni quasi sempre altre forme di violenza e trascuratezza, è relativamente recente l’attenzione socioculturale e scientifica a questo tipo di violenza.

Una delle difficoltà maggiori, in campo accademico, è stata quella di trovare una definizione di violenza psicologica su cui vi sia unanime consenso. L’International Conference on Psycological Abuse of Children and Youth (1983) ha esplorato otto campi principali di violenza psicologica:

Crudeltà mentale: per esempio, la violenza e l’umiliazione verbale, le componenti psicologiche della violenza fisica, il fissare mete da raggiungere irragionevolmente alte o basse, una vistosa e aperta discriminazione nel trattamento di fratelli e sorelle.

Violenza e sfruttamento sessuale: per esempio, gli aspetti psicologici dell’incesto, dello stupro, della pornografia, della prostituzione, della situazione di ragazza madre, e ogni pratica discriminatoria riguardante i sessi.

Condizioni ambientali di vita pericolose e precarie: per esempio, gli aspetti psicologici determinati dal vivere in condizioni di guerra, in società dove imperversano criminalità e violenza, in gravi forme d’instabilità familiare.

Uso di droga e di sostanze tossiche: per esempio, uso improprio di farmaci e di altre sostanze potenzialmente nocive, in quanto somministrate o incoraggiate da adulti o coetanei.

Influenze di modelli negativi e riduttivi: per esempio, gli effetti di modelli influenti (coetanei e adulti) in casa, nelle comunità scolastiche o nei media (televisione, cinema, musica) che incoraggiano un comportamento meschino, non flessibile, autodistruttivo, violento e/o antisociale.

Preconcetti e pregiudizi culturali: per esempio, condizioni o azioni al di fuori o all’interno di gruppi minoritari culturalmente differenti, che limitano ingiustamente aspettative o possibilità di esperienze per i membri dei gruppi stessi.

Trascuratezza affettiva e deprivazione di stimoli: per esempio, la deprivazione di esperienze fondamentali di affetto e di attenzione, il rifiuto interpersonale, la deprivazione di stimoli sensoriali e di altre esigenze fisiche che sorreggono lo sviluppo.

Violenza istituzionale: per esempio, consuetudini o pratiche istituzionali che si traducono in violenza psicologica contro i bambini nell’atto stesso di prendersene cura.

Questo elenco parziale di etichette, caratteristiche e campi della violenza psicologica fornisce alcune indicazioni circa la varietà di significati che le vengono attribuiti. Per superare questa empasse, l’International Conference on Psycological Abuse of Children and Youth, cui parteciparono i rappresentanti di tutte le più importanti professioni di pubblica assistenza e dei gruppi di difesa dell’infanzia provenienti da otto paesi, produsse la seguente definizione:

La violenza psicologica contro bambini e adolescenti consiste in atti omessi o commessi che vengono ritenuti, in base a criteri comunemente accettati uniti a perizia professionale, psicologicamente dannosi. Tali atti vengono commessi da individui, singolarmente o collettivamente, che per loro caratteristiche (per es. età, condizione sociale, conoscenze, forme organizzative) sono in una posizione di potere differenziale che rende un bambino vulnerabile. Questi atti danneggiano, immediatamente o come conseguenza ultima, il modo di agire comportamentale, cognitivo, affettivo o fisico del bambino. Tra gli esempi di violenza psicologica vi sono atti di rifiuto, d’intimorimento, d’isolamento, di sfruttamento e di errata socializzazione (Hart – Germain – Brassard, 1983).

Questa definizione fu unanimamente approvata come definizione operativa generica ed è stata sottoposta all’esame di un’ampia varietà di individui e di organizzazioni per avere proposte di miglioramento. I pochi suggerimenti hanno posto l’attenzione sull’ampliamento degli atti concreti di violenza perché si ritiene che forniscano le indicazioni migliori per chiarire la natura di questo tipo di violenza. L’Office for the Study of the Psychological Rights of the Child (OSPRC, Indiana University), cioè il centro nazionale che ha organizzato la conferenza internazionale, ha modificato l’elenco in seguito ai suggerimenti ricevuti:

Rifiutare. Rifiutare di riconoscere, di credere, di accogliere; non accettare, respingere. Scartare, mettere da parte. Rifiutare di ascoltare, di ricevere. Rigettare (categoria distinta da “non riconoscere la sensibilità psicologica” citata alla fine dell’elenco, che esprime un mancato riconoscimento passivo, mentre qui si tratta di rifiuto attivo). Esempi: trattare il bambino in maniera differente rispetto a fratelli e sorelle o a coetanei, in modi che fanno pensare a un’antipatia nei suoi confronti; rifiutare attivamente di prestare aiuto o di riconoscere la richiesta di aiuto da parte del bambino.

Umiliare. Degradare da posizioni o condizioni più alte ad altre più basse; privare della dignità. Gettare nel discredito o nello sfavore; deprezzare. Esempi: chiamare un bambino “stupido”; etichettarlo come inferiore; umiliarlo pubblicamente.

Intimorire. Impressionare con il terrore, mettere in situazioni di paura, spaventare con minacce violente; costringere con intimidazioni. Esempi: minacciare lesioni fisiche o addirittura di uccidere; costringere un bambino ad osservare atti di violenza contro persone che lui ama; lasciare un bambino piccolo incustodito.

Isolare. Allontanare un bambino da sé; separarlo da tutti gli altri. Esempi: chiudere un bambino in uno stanzino o, per qualche tempo, in una camera dove viene lasciato solo; non consentire interazioni o relazioni con i coetanei o con persone adulte al di fuori della famiglia.

Corrompere. Rendere antisociali o ribelli alla società; rendere disadattati rispetto alle esigenze o agli usi sociali; rendere corrotti; cambiare da buoni a cattivi; degradare. Esempi: insegnare e rafforzare atti che umiliano gli individui diversi per razza o etnicamente; insegnare e rafforzare una condotta criminale; fare apparire come normali, abituali o appropriati, attraverso i mass-media, modelli antisociali e irreali.

Sfruttare. Strumentalizzare; non tenere nel dovuto valore. Utilizzare a proprio vantaggio o profitto. Esempi: molestare sessualmente un bambino; impiegare un bambino in casa nel ruolo di un servo o come sostituto di uno dei genitori; incoraggiare un bambino a partecipare nella produzione della pornografia.

Non riconoscere la sensibilità psicologica. Omettere di fornire quella cura sensibile e responsabile che è necessaria per promuovere un sano sviluppo socio-emotivo; mostrarsi distaccati e non coinvolti; interagire solo quando sembra necessario. Esempi: ignorare i tentativi di interazione compiuti dal bambino; trattare il bambino meccanicamente, non preoccupandosi mai di tenerlo in braccio, di accarezzarlo, di baciarlo, di parlargli.
In questi atteggiamenti sembra che vi siano tutte le forme più importanti di violenza psicologica.

La messa in atto, da parte di un adulto, di tali comportamenti può provocare nel bambino una massiccia frustrazione con una serie di conseguenze psicologiche e comportamentali a breve e a lungo termine.

In particolare, può essere compromessa la costruzione dell’identità, per cui il bambino può perdere stima di sé, o manifestare atteggiamenti introversi e forme di aggressività, modificando, in tal modo, la struttura della sua personalità. Possono, altresì, manifestarsi sintomatologie di tipo psicopatologico o psicosomatiche.

Molto spesso la sofferenza psicologica provoca manifestazioni affettive ed emotive, violente anche se spesso transitorie, che possono assumere le caratteristiche di un sentimento depressivo. I segnali di un possibile stato depressivo non devono essere ignorati anche se può essere difficile individuarli a causa dei vari modi, spesso “nascosti”, in cui si possono manifestare (disturbi della condotta, aggressività fisica e verbale, violenza, ecc.).

In Italia, fra le problematiche riscontrate dalle telefonate ricevute da Telefono Azzurro, l’abuso psicologico si colloca, nel 2000, al 7° posto come frequenza di problema evidenziato.

Il problema ha visto coinvolti il 7.5% dei minori che hanno richiesto aiuto, pari a circa 548: quasi 2 ogni giorno.

Rimangono vittime di abuso psicologico il 56.2% delle femmine rispetto al 43.8% dei maschi.

I bambini principalmente coinvolti sono quelli più piccoli fino ai 10 anni (57.6%), seguiti da quelli fra gli 11 e i 14 anni (24.3%) e fra i 15 e i 18 anni (18.1%).

I responsabili dell’abuso psicologico sono: il padre (36.8%), la madre (36.1%), un insegnante (7.3%), un parente (4.9%), un estraneo (4%), un conoscente (3.7%), un convivente (2.6%), il nuovo coniuge (1.4%), il fratello o la sorella (0.8%), i genitori adottivi (0.2%).

La sfida per ottenere progressi nel chiarire e nel combattere la violenza psicologica si gioca anche nello sviluppare e avvalorare definizioni operative. E’ per questo che la riflessione e la ricerca, accademica e non, devono continuare a interessarsi attivamente a questo tema di grande rilevanza per tutta la società civile e non solo per gli attori sociali che operano a contatto e a tutela dei minori, contro ogni forma di violenza.


Bibliografia:

Caffo, Camerini, Florit “Criteri di valutazione nell’abuso all’infanzia. Elementi clinici e forensi”. McGraw-Hill, 2002
Brassard, Germain, Hart “La violenza psicologica contro bambini e adolescenti”. Armando Editore, 1993
Dati nazionali di Telefono Azzurro sull’abuso psicologico (2000).

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