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23° ANNIVERSARIO DELLA STRAGE DI VIA PIPITONE FEDERICO

Ultimo Aggiornamento: 22/02/2007 10:39
29/07/2006 14:15
 
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Per ROCCO CHINNICI [SM=g28002]




BIOGRAFIA

Nato a Misilmeri (Palermo) il 19 gennaio 1925, ha frequentato il Liceo Classico "Umberto" a Palermo, conseguendo la maturità nel 1943. Si è iscritto alla Facoltà di Giurisprudenza di Palermo, dove ha conseguito, a pieni voti, la laurea il 10 luglio 1947.
E' entrato in Magistratura nel 1952 con destinazione al Tribunale di Trapani. Poi è stato pretore a Partanna per dodici anni, dal 1954. Nel maggio del 1966 è stato trasferito a Palermo, presso l'Ufficio Istruzione del Tribunale, come Giudice Istruttore.
Nel novembre 1979, già magistrato di Cassazione, è; stato promosso Consigliere Istruttore presso il Tribunale di Palermo.
Un mio orgoglio particolare, ha rivelato Chinnici, è una dichiarazione degli americani secondo cui l'Ufficio Istruzione di Palermo è un centro pilota della lotta antimafia, un esempio per le altre Magistrature d'Italia. I Magistrati dell'Ufficio Istruzione sono un gruppo compatto, attivo e battagliero Chinnici ha partecipato, quale relatore, a molti congressi e convegni giuridici e socio-culturali. Il primo processo alla mafia, il cosiddetto maxi processo di Palermo, è, tra l'altro, la conseguenza del lavoro istruttorio svolto da Chinnici e dal Pool di Magistrati che lo hanno collaborato (Falcone, Borsellino, Di Lello, ecc.).
Rocco Chinnici credeva nel coinvolgimento degli studenti nella lotta contro la mafia e spesso parlava nelle scuole sui pericoli della droga.
Parlare ai giovani, alla gente, raccontare chi sono e come si arricchiscono i mafiosi, fa parte dei doveri di un giudice. Senza una nuova coscienza, noi, da soli, non ce la faremo mai.
In una delle sue ultime interviste, Chinnici ha detto:
La cosa peggiore che possa accadere è essere ucciso. Io non ho paura della morte e, anche se cammino con la scorta, so benissimo che possono colpirmi in ogni momento. Spero che, se dovesse accadere, non succeda nulla agli uomini della mia scorta. Per un Magistrato come me è normale considerarsi nel mirino delle cosche mafiose. Ma questo non impedisce né a me né agli altri giudici di continuare a lavorare.
Rocco Chinnici è stato ucciso il 29 luglio 1983 all'età di cinquantotto anni. Accanto al suo corpo giacevano altre tre vittime, raggiunte in pieno dall'esplosione: il maresciallo dei carabinieri Mario Trapassi, l'appuntato Salvatore Bartolotta e il portiere Stafano Li Sacchi.

UN GIUDICE MODERNO

Nell'aprile del 1966 arriva al Tribunale di Palermo, all'Ottava Sezione dell'Ufficio Istruzione, un giovane magistrato: Rocco Chinnici. Giovane, ma di esperienza ne ha già; tanta. Dodici anni pretore a Partanna, in provincia di Trapani. Dodici anni trascorsi amministrando giustizia - penale e civile - in mezzo alla gente, come piace a lui. Chinnici era nato a Misilmeri, alle porte di Palermo, il 19 gennaio 1925, aveva studiato a Palermo, completando gli studi superiori negli anni della Seconda Guerra Mondiale, presso il Liceo Classico Umberto I. A Palermo aveva frequentato la Facoltà; di Giurisprudenza dell'Università; mentre, per dare sostegno economico alla propria famiglia nei difficilissimi anni del Dopoguerra, lavorava come Procuratore nell'Ufficio del Registro di Misilmeri. A Misilmeri aveva conosciuto una giovanissima professoressa, Agata Passalacqua, che era giunta lì; per un incarico di insegnante alla scuola media, che sarebbe presto diventata sua moglie. Nel 1952 Rocco Chinnici vinceva il concorso in Magistratura e - per i due anni di uditorato - veniva assegnato al Tribunale di Trapani, subito dopo alla pretura di Partanna. E proprio nel periodo in cui il giovane Pretore si trasferiva nel centro belicino nasceva la figlia primogenita Caterina (novembre 1954). Questa lunga tappa professionale, che lo portava a diretto contatto con la cittadinanza, segnava profondamente la sua personalità;, dandogli la possibilità; di esercitare le sue grandi doti umane e professionali e di stabilire con la popolazione locale una eccezionale sintonia, che lo portava - tra l'altro - a ritardare a lungo la partenza per un ufficio giudiziario più; grande. In quel felice periodo nascevano gli altri due figli del Magistrato, Elvira (gennaio 1959) e Giovanni (gennaio 1964). E la popolazione partannese ricambiava con un atteggiamento di profonda stima e di affetto. Rocco Chinnici, "lu Preturi" com'era chiamato da tutti, diventava – sempre più; spesso - la persona alla quale rivolgersi per avere un aiuto o anche soltanto per sentirsi dire qualche parola di conforto. Chinnici era vicino alla gente e la gente lo capiva. E - sempre più; spesso - la sua mole imponente e l'istintivo atteggiamento distaccato si scioglievano in calorose strette di mano ed affettuosi sorrisi di comprensione e solidarietà;. Ciononostante, Chinnici non veniva mai meno ai doveri che la sua professione - la sua missione - gli imponeva. Condannava, quando c'era da condannare, sempre con umanità; sempre cercando anche di comprendere le ragioni dei comportamenti sbagliati per dare alla pena una portata soprattutto rieducativa, per capire dove e come agire perché; quei reati non si ripetessero. E per le feste non mancava una visita e qualche piccolo dono per i carcerati. Dopo qualche anno, il lavoro di Chinnici conseguiva un successo pieno: "prima che io andassi via da Partanna – affermava spesso con orgoglio e con ammirazione per quella cittadinanza che aveva colto perfettamente i suoi messaggi - gli unici reati erano qualche caso di abigeato (furto di bestiame) e di pascolo abusivo". Soltanto nel 1966 Rocco Chinnici cede alle ormai improcrastinabili istanze di crescita professionale e - a malincuore - lascia la cittadina di Partanna per trasferirsi a Palermo. E da quel momento comincia ad occuparsi di delicati processi di mafia. Nel 1970 che gli viene assegnato il primo grande processo di mafia, quello per la "strage di viale Lazio". Nel 1975 consegue la qualifica di magistrato di Corte d'Appello ed è nominato Consigliere Istruttore Aggiunto. Quattro anni dopo è designato Consigliere Istruttore e inizia a dirigere da titolare l'ufficio in cui opera da tredici anni. E' in questo periodo che le istituzioni italiane cominciano a vacillare sotto i colpi di una mafia ormai diventata talmente potente e sfrontata da sfidare apertamente lo Stato. Nel 1979 Terranova, un anno dopo Costa, per citare soltanto i giudici barbaramente trucidati, ma accanto a loro ci sono politici, poliziotti, carabinieri, semplici cittadini. Ed allora Chinnici ha una intuizione che fa di lui anche un magistrato particolarmente moderno: il giudice è vulnerabile perché; - lavorando in modo individuale - se viene ucciso, vengono eliminate con lui anche le sue indagini. Grazie alle sue validissime capacità organizzative, progetta e crea, nel suo ufficio, dei veri e propri gruppi di lavoro, un scelta - per allora - rivoluzionaria, dando forma a quelli che saranno poi definiti "pool antimafia". E' questo il primo elemento di modernità; del Giudice Chinnici. Accanto a sé; vuole - tra gli altri - due giovani magistrati: Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, che andrà; proprio a quella ottava Sezione che fino a qualche anno prima era stata di Chinnici. E' con loro che mette in cantiere le prime indagini di quelli che si caratterizzeranno come i più; grossi processi per mafia degli anni ottanta. Per tutti, il "rapporto dei 162", considerato il nocciolo primordiale del futuro primo maxi-processo. L'Ufficio Istruzione del Tribunale di Palermo diviene, sotto la guida di Chinnici, un esempio di organizzazione giudiziaria: "un mio orgoglio particolare - rivelava allora il Magistrato - è una dichiarazione degli investigatori americani secondo cui l'Ufficio Istruzione di Palermo è un centro pilota della lotta antimafia, un esempio per le altre magistrature d'Italia. I magistrati dell'Ufficio Istruzione sono un gruppo compatto, attivo e battagliero". Ma Rocco Chinnici non esaurisce la sua attività; all'interno delle aule giudiziarie. Riprendendo quel contatto diretto con la gente che aveva caratterizzato il suo lavoro di pretore a Partanna tanti anni prima, ripropone la figura del magistrato impegnato a sensibilizzare in senso antimafioso l'opinione pubblica e le istituzioni. Ecco l'altro elemento di modernità;. Ora - nel periodo del flagello dell'eroina - la sua attenzione si rivolge ai giovani, verso i quali nutre una naturale propensione ed una paterna e sincera affettuosità;, in decine d'incontri nelle scuole, impegnando così; i suoi – ormai rari – intervalli di tempo libero. E' nel pieno di quest'attività; professionale, sociale e culturale che, il 29 luglio 1983, mentre s'accinge a salire sulla sua autovettura di servizio ferma davanti al portone dello stabile in cui vive, in via Federico Pipitone a Palermo, una vettura apparentemente innocua, una 126 posteggiata accanto, esplode per l'azione di un telecomando. E' la prima auto-bomba che, ponendo fine vigliaccamente alla vita del Giudice, segna l'ulteriore e drammatico inasprirsi della strategia di Cosa Nostra. Assieme al Magistrato perdono la vita il portiere dello stabile Stefano Li Sacchi e i due carabinieri della scorta, Salvatore Bartolotta e Mario Trapassi.

LA STRAGE

Venerdì 29 luglio 1983, a Palermo.
Il cielo azzurro intenso è quello che solo la Sicilia sa regalare in piena estate, ma l'aria già tiepida alle prime ore del mattino lascia presagire una delle giornate più torride ed assolate della calda estate isolana.
In via Pipitone Federico, in un elegante quartiere residenziale, c'è la piacevole calma delle mattinate estive: la città è semivuota, le scuole sono chiuse, molti palermitani sono già da tempo nella casa al mare. Molti, proprio quella mattina, si preparano a partire per le vacanze di agosto. Rocco Chinnici, nel suo appartamento al terzo piano, si è alzato presto, verso le cinque, come ogni mattina, e sta lavorando alle sue carte nello studio, con il balcone aperto. Chissà se affacciandosi per prendere un po' d'aria ha notato una 126, una macchina apparentemente innocua, posteggiata proprio davanti al portone. Sono le otto e la via adesso è un po' più animata: il panificio, al piano terra dello stabile, ha alzato le saracinesche, il portiere Stefano Li Sacchi ha aperto la portineria; di tanto in tanto passa qualche vettura. Arriva la blindata di Chinnici, un'Alfetta beige, guidata dal Sig. Paparcuri, e l'Alfasud dei Carabinieri della scorta, con a bordo il maresciallo Trapassi e l'appuntato Bartolotta. C'è anche una gazzella dei Carabinieri che da qualche mese, da quando le minacce al Giudice si sono fatte più gravi, ha il compito di rinforzare la sorveglianza nel punto forse più pericoloso del tragitto casa-ufficio. Davanti al portone c'è sempre la 126 posteggiata. Il consueto saluto affettuoso ai familiari e poi giù per le scale. Rocco Chinnici scendeva e saliva sempre a piedi; era l'unica attività fisica che la sua vita blindata e superimpegnata ormai gli concedeva. Chissà se Chinnici, consapevole com'era dei pericoli che correva, ha pensato che poteva essere l'ultima volta che percorreva quelle rampe. Una mattina qualsiasi nella quiete dell'estate in città, quel ventinove luglio. Sono le otto e dieci. Una devastante esplosione scuote violentemente l'intero isolato. Qualcosa di inaudito, forse inimmaginabile in quell'atmosfera rilassata.
E' la 126: è stata imbottita di tritolo e fatta esplodere con un comando a distanza nel momento in cui Chinnici, per poter salire sulla blindata, è costretto a passarvi accanto. E' l'inferno. Palermo come Beirut, titoleranno i giornali. Ma questa immagine non basta a descrivere la devastazione. Sulla strada, in mezzo alle carcasse delle auto ed all'acqua fuoriuscita dalle tubazioni scoppiate, si distinguono a fatica i corpi senza vita, devastati dall'esplosione. Oltre a Rocco Chinnici ci sono Mario Trapassi, Salvatore Bartolotta e Stefano Li Sacchi. Nell'auto di servizio, l'autista Giovanni Paparcuri, parzialmente protetto dalla blindatura, è gravemente ferito e privo di sensi. Sopravviverà, ma senza mai superare del tutto i problemi fisici procuratigli dalla parziale esposizione all'onda d'urto e senza ricevere dallo Stato quella solidarietà che gli era dovuta. Ci sono decine di feriti, anche all'interno delle abitazioni. E tra i feriti due bambini. Era la preoccupazione più grande, per Rocco Chinnici, negli ultimi tempi, quella di poter coinvolgere in un possibile attentato un familiare, un passante, un uomo della scorta. Se avesse potuto, avrebbe chiesto che altri uomini non morissero con lui. Per il resto solo devastazione, quel ventinove luglio alle otto e dieci. Infissi divelti, a decine, intonaci staccati, asfalto sollevato, tubazioni distrutte. Devastazione e silenzio. Per secondi lunghi come ore, dopo l'assordante fragore c'è un silenzio irreale su quella scena irreale. Poi le grida di dolore, di disperazione, le sirene di Polizia e Carabinieri con gli agenti che scendono dalle volanti e rimangono impietriti e sbigottiti senza sapere cosa fare. Più tardi la rabbia, il brusio, le telecamere, i curiosi, i rilevamenti, le autorità, gli amici, i parenti, alcuni cittadini. Una ferita profonda alla coscienza civile della città, questa volta anche a quella parte allora solitamente indifferente o convinta che , in fondo, chi fa questa fine, anche se nel giusto, se la va un po' a cercare. Non più soltanto pochi grammi di piombo e polvere da sparo. Ma tritolo. A quintali. E non si resta indifferenti. Uno scenario impensabile in un paese civile. Eppure destinato a ripetersi. Altre due volte: il 23 maggio 1992 per Giovanni Falcone e il 19 luglio 1992 per Paolo Borsellino.

Falcone e Borsellino: due discepoli di Chinnici. Tutti e tre fatti fuori con quintali di tritolo.
Un caso.


ALTRE VITTIME


Maresciallo dei C.C. Mario Trapassi

Era nato a Palermo l'8 dicembre 1950. La sua carriera ebbe inizio nel 1970 quando - appena diciannovenne - si arruolò nell'Arma dei Carabinieri, partendo per Chieti, dove frequentò il corso di sottufficiale; proseguì il corso a Firenze per concluderlo a Velletri. Il suo primo incarico operativo, con i gradi di Vice Brigadiere, fu a Torino, dove lavorò subito a fianco del Generale Carlo Alberto Dalla Chiesa. Sempre a Torino, prestò servizio al Nucleo Radiomobile con il grado di Brigadiere, svolgendo sempre con piena responsabilità e senso del dovere il suo servizio nei difficili anni della grave offensiva del terrorismo. Nel 1978, raggiunto il grado di Maresciallo, ottenne il trasferimento in Sicilia, dove prestò servizio presso il carcere femminile di Termini Imerese. Dopo pochi mesi fu trasferito a Palermo, per stare vicino alla famiglia. Era il periodo degli omicidi di mafia; ben conscio del pericolo che correva, accettò l'incarico di capo scorta del Dott. Paolo Borsellino che, a sua volta, era da poco giunto all'Ufficio Istruzione del Tribunale di Palermo. Tra il 1979 ed il 1980 la criminalità mafiosa sferrò alcuni dei suoi più gravi attacchi alle istituzioni uccidendo prima il Giudice Cesare Terranova e poi il Procuratore della Repubblica di Palermo, Dott. Gaetano Costa. Fu allora che servizi di tutela delle personalità a rischio vennero riorganizzati e rinforzati.
Il Maresciallo Trapassi, grazie all'efficienza ed alla capacità mostrate nel servizio a fianco del Dott. Borsellino, venne allora individuato per assumere il ruolo di responsabile della sicurezza del magistrato che appariva - in quel particolare momento - come il più esposto: il Dott. Rocco Chinnici, capo dell'Ufficio Istruzione del Tribunale di Palermo.
Accanto al Dott. Chinnici si fece apprezzare per le sue doti umane oltre che per quelle professionali, diventando presto un amico - non solo un valido collaboratore - del Magistrato. Purtroppo nessuna difesa era possibile contro una forma allora inedita di attentato: l'auto imbottita di tritolo, che pose fine alla sua vita il 29 luglio 1983. Lasciò la moglie e quattro figli, tutti in tenera età.
Insignito della MEDAGLIA D'ORO AL VALOR CIVILE con D.P.R. 31 agosto 1983

Appuntato dei C.C. Salvatore Bartolotta

Era nato a Castrofilippo, in provincia di Agrigento, il 3 marzo 1935. Cresciuto in una famiglia di proprietari terrieri, raggiunta la maggiore età manifestò la sua intenzione di arruolarsi nell'Arma dei Carabinieri e dopo un breve iter che lo portò a svolgere il suo servizio nelle città di Caltanissetta e Cefalù, venne assegnato definitivamente al Nucleo Investigativo presso la Caserma Carini di Palermo. Fu allora - erano i primi anni settanta - che, in una Palermo che iniziava a confrontarsi con il problema dell'aggressione militare della mafia, conobbe per motivi di lavoro il Dott. Rocco Chinnici, allora giovane giudice dell'Ufficio Istruzione del Tribunale di Palermo. E fu proprio a fianco del Magistrato, tra il '71 e il '73 che iniziò il servizio di scorta a personalità civili. Tra i due nacque anche un rapporto di amicizia profonda che durò anche dopo la cessazione delle esigenze di protezione del Giudice.
Grazie certamente a questa amicizia ed alla reciproca stima professionale, quando, alla fine degli anni settanta, Chinnici fu nuovamente sottoposto a misure di protezione, la richiesta dall'Appuntato Bartolotta di tornare a scortare il Giudice si incontrò con l'istanza di Chinnici, che lo indicava come il più adatto ad assolvere il delicato e rischioso compito di Agente di Tutela.
In trent'anni di servizio, si distinse sempre per il coraggio, l'impegno e la professionalità, più volte riconosciuti con l'assegnazione di encomi solenni.
Scomparve tragicamente il 29 luglio 1983, lasciando la moglie e 5 figli in età infantile, nell'attentato al tritolo al giudice Rocco Chinnici. Nella Caserma dei Carabinieri di Castrofilippo, intestata all'Appuntato Bartolotta, una lapide ricorda il suo eroico sacrificio. Ecco il testo integrale.
MEDAGLIA D'ORO AL VALOR CIVILE - D.P.R. 31 agosto 1983 ";In servizio di scorta al magistrato tenacemente impegnato nelle lotte contro la criminalità organizzata. Assolveva il proprio compito con alto senso del dovere e serena dedizione pur consapevole dei rischi personali connessi con la recrudescenza degli attentati contro i rappresentanti dell'ordine giudiziario e delle forze di Polizia. Barbaramente trucidato in un proditorio agguato tesogli con efferata ferocia sacrificava la vita a difesa dello Stato e delle Istituzioni."; Palermo 29 luglio 1983.


Sig. Stefano Li Sacchi - Portiere dello stabile

Era nato il 2 giugno 1923 a Geraci Siculo, un piccolo paese agricolo adagiato sulle pendici delle Madonie. Penultimo di cinque figli di una famiglia modesta, nonostante l'intelligenza vivace, non potè proseguire gli studi che abbandonò da fanciullo per aiutare la famiglia nel lavoro dei campi.
Sposò, in una fredda giornata del mese di gennaio del 1951, Nunziata, la moglie che amò teneramente e con la quale si trasferì a Palermo con la speranza di una vita migliore. Qui ha vissuto lavorando come portiere con responsabilità e senso del dovere, guadagnandosi la stima e la fiducia di quanti lo conobbero e, nell'espletamento della sua attività, quel tragico 29 luglio trovò la morte.
Ha dedicato la sua vita ai suoi affetti più cari: la moglie e la nipote Lucia, che ha allevato ed educato con l'affetto e la dedizione di un padre, ed a loro rimane il ricordo struggente della sua grande voglia di vivere, della sua allegria e della disponibilità d'animo nei confronti del prossimo.
Aveva l'abitudine di alzarsi sempre di buon mattino e di recarsi presto nel condominio di via Pipitone Federico n. 59, dove iniziava a svolgere le attività legate al suo lavoro di portiere. Un lavoro che svolgeva con serietà ed impegno ma anche con disponibilità e buon umore, divenendo un punto di riferimento per tutti i condomini, che nutrivano nei suoi confronti simpatia ed apprezzamento.
Chinnici, che con lui condivideva le origini rurali, lo stimava affettuosamente; si intratteneva spesso a parlargli delle problematiche condominiali o degli argomenti più disparati. Ma negli ultimi tempi preferiva indugiare poco nell'androne dello stabile: la sua preoccupazione costante era proprio quella di poter coinvolgere qualcun'altro in un eventuale attentato. Probabilmente anche Stefano Li Sacchi era consapevole del rischio che correva nel trovarsi vicino al Magistrato. Eppure ciò non lo indusse mai ad assumere un atteggiamento timoroso. Anzi ostentava con orgoglio il rapporto amichevole che aveva col Giudice, spesso accompagnandolo fino allo sportello della "blindata". Anche lui ebbe, nell'ambito del suo lavoro, la libertà ed il coraggio di una scelta giusta e non condizionata dalla paura.



[SM=g28002] GRAZIE [SM=g28002]



Fonte: Fondazione Rocco Chinnici


[Modificato da Geneshys 30/07/2006 1.36]

30/07/2006 01:47
 
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Quando guardo questi uomini in faccia mi commuovo finchè una lacrima solca il mio volto per giungere al cuore....

Non credo che potrò mai spiegare a parole tutto ciò che nutro per coloro che, soldaldi della giustizia e della libertà, non hanno mai agito con egoismo anzi hanno donato tutta la loro vita per ogni singolo uomo...

Ancora oggi non sono in grado di guardare in tv film che parlano di questi grandi uomini, perchè l'emozione mi assale e gli occhi bagnati di lacrime si riempiono di una rabbia, forse ingiustificata, ma che non riesco a contenere...

[SM=g27998]

Gae

[Modificato da Geneshys 30/07/2006 1.49]

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