richiesta di aiuto

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paola_m
00mercoledì 26 settembre 2007 16:59
Buongiorno a tutti, innanzitutto sono contenta di avere trovato questo sito, dove spero di poter condividere il mio cammino, ad oggi un po' difficile.
Mi chiamo Paola, ho 24 anni e scrivo per avere un consiglio in merito alla situazione di grave disagio che vivo in casa con i miei genitori. Mia mamma soffre da circa trent’anni di depressione e attacchi di panico, che non ha mai voluto o potuto curare seriamente (prende una o due gocce di Anafranil al giorno). Il suo medico curante è, a mio avviso una persona molto negligente, mio padre non può o non vuole curarsi della cosa. Questo ha sempre limitato fortemente la nostra vita (mai una vacanza, quasi mai feste in casa o gravi disagi in loro presenza…), ma io l’ho sempre accettata per amore dei miei genitori.

Il vero problema è stata la violenza che ho cominciato a subire: fornisco qualche elemento per inquadrare meglio il problema.

Sono stata educata a una disciplina molto severa, che però ho sempre accettato come la migliore che i miei genitori potessero scegliere per me. Durante l'adolescenza ho vissuto un episodio di violenza fisica con segregazione e percosse, ma per fortuna non si è mai più ripetuto.

Diventata adulta, ho sempre cercato di essere una figlia buona, partecipe, sincera, disponibile, di evitare alla mamma preoccupazioni inutili e di esserle vicino con la mia presenza. Mi sono laureata da poco, perfettamente in corso e già da diverso tempo lavoro come impiegata. Non ho mai avuto atteggiamenti di ribellione, non bevo e non fumo. Purtroppo, lei, in ragione delle sue ansie, mi ha sempre ritenuta inadeguata alla vita, incapace, disattenta, pensa che tutto ciò che di buono ho fatto nella vita (la laurea, il lavoro) sia esclusivamente merito suo e non mi ha mai risparmiato parole e toni durissimi per farmelo capire.

La cosa è degenerata quando ho iniziato un percorso di vita comune con un ragazzo cui voglio sinceramente bene e dal quale credo di essere ricambiata. Quando abbiamo cominciato a parlare di matrimonio è scoppiato un finimondo. Il mio fidanzato è stato visto come la persona peggiore al mondo, mentre è ritenuto da tutti una brava persona come me e ogni suo tentativo di parlare con i miei genitori è stato inutile. Mia mamma ha cominciato inducendomi sempre più spesso a litigare con il mio fidanzato per motivi futili. All'inizio mi lasciavo convincere, pensando che l'esperienza dei miei genitori fosse un riferimento da seguire, ma poi ho capito che erano dei pretesti. E' stato per me un periodo incessante di continui insulti, derisioni, minacce di eliminazione fisica con dolore o di segregazione, telefonate e pedinamenti sul lavoro, risvegli notturni, sequestro e controllo dei miei effetti personali. Poi mi hanno costretto a una rottura definitiva, con tanto di telefonata che ho dovuto condurre in loro presenza (per fortuna il mio fidanzato ha capito e mi è tuttora vicino). L'anello di fidanzamento e tutti gli altri piccoli oggetti che vengono da questo ragazzo mi sono stati sequestrati e chiusi in cantina, dove non posso accedere. Ogni tentativo di dialogo è inutile, in quanto mia madre, penso in ragione della sua malattia, sviluppa comportamenti violenti (ultimamente brandisce oggetti pesanti come arma di minaccia) ogni volta che sente dire qualcosa che la contraddice. Rifiuta l’idea di non dovermi minacciare o insultare, in quanto secondo lei io merito insulti e minacce in ragione di un elenco fittissimo di colpe che lei mi attribuisce. Rifiuta inoltre qualsiasi proposta di essere curata (io avevo pensato alla psicoterapia familiare), in quanto si ritiene sanissima (in passato ha sofferto di disturbi dell’equilibrio, poi scomparsi con la menopausa) e secondo lei sono io una malata psichiatrica grave da interdire e rinchiudere. Aggiungo che più o meno ha lo stesso atteggiamento nei confronti di mio padre, cui attribuisce colpe anche per cose antecedenti alla mia nascita.

Una volta resami conto (per me è stato molto difficile) che stavo subendo violenza psicologica, ho avviato un percorso di auto-aiuto (ad oggi quasi concluso) presso un centro anti-violenza, che mi ha molto aiutato a recuperare serenità e fiducia in me stessa e mi ha portato a decidere di andare via di casa, non per abbandonare la mia famiglia, ma per prendermi un mio spazio.

Infatti, se mi lascio annientare, non potrò più aiutare né mia mamma né me.

Il mio problema ora è: come gestire questo distacco in modo sostenibile per mia mamma?

Ne temo infatti le conseguenze, sia per me che per lei. La ritengo quasi capace di tutto.

Per attutirle il trauma, al centro abbiamo pensato che potrei andare temporaneamente in un convitto di suore (luogo neutro e protetto), ma resta il problema di come dirglielo e come farglielo accettare.

Inizialmente, su consiglio del centro, mi ero rivolta al centro di salute mentale dela mia città, ma lì mi hanno detto che loro non possono fare nulla se non convinco la mamma ad andare da loro.
Questo per me è pressochè impossibile, perchè la mamma si ritiene sanissima.
Aggiungo che mio papà, cui moltissime volte ho provato invano a far presente il problema, rifiuta di guardare la realtà, non curandosi nè della salute della mamma né della mia serenità.

Avrei perciò bisogno di un aiuto da persone competenti in questa delicata e dolorosa materia: che metodi e che parole usare per non renderle questo distacco drammatico? E come poter pensare per lei un domani a una possibilità di cura?

Grazie di cuore
p
!dolphin!
00mercoledì 26 settembre 2007 17:22
ciao paola,ben venuta in questo forum
io sono morena,ho letto la tua storia e ti ammiro molto,l'amore e il rispetto che hai verso i tuoi sono una cosa meravigliosa.Sei stata molto brava a prendere la situazione in mano,a realizzare le violenze psicologiche e nonostante tutto vuoi(giustamente a mio avviso)aiutare tua mamma.Io purtroppo non posso darti consigli perchè non sono un'operatrice,ma una donna come te che ha subito,ti dico però che gli operatori,qui,sono molto bravi e ben informati e sono sicura che riusciranno a darti qualche consiglio.
Intanto ti auguro che tu riesca a risolvere al meglio,io e le altre donne del forum ti saremo vicine nel tuo percorso...
un abbraccio
MORENA
Pedagogista
00venerdì 28 settembre 2007 23:08
Ciao cara Paola e benvenuta nel nostro Forum.
E' davvero ammirevole l'amore che, nonostante tutto, hai verso i tuoi genitori; tuttavia sono in dovere di dirti che dovresti, visto l'evolversi della situazione, pensare di più a te stessa. Hanno detto bene i colleghi del Dipartimento di Salute Mentale, loro non possono far nulla se tua madre non si reca personalmente e in piena libertà di scelta al Servizio. Lei, però, sostiene di essere completamente sana, rendendo la vita un inferno a te ed al tuo ragazzo.Credo che la cosa migliore e più giusta che tu possa fare è non aspettare più altro tempo e trasferirti. Dopo che avrai portato le tue cose fuori da casa, e solo allora, tenta l'ultimo approccio con lei, dicendole che qualora decidesse di voler stare meglio e quindi farsi aiutare da specialisti tu ci sarai, ma fino a quel momento non dovrà cercarti perchè fino ad oggi, nonostante il tuo amore e la tua devozione verso di lei, è riuscita solamente a farti soffrire. Dille pure che hai consultato professionisti nel settore per capire se sbagliavi e tutti ti hanno invece fatto capire che ti eri solamente sacrificata eccessivamente, calpestando la tua dignità di persona e turbando la tua serenità.
So che non sarà facile, visto anche la tua fragile e docile personalità, ma devi riuscirci, noi ti staremo vicino.
A presto, un abbraccio...
Geneshys
00lunedì 1 ottobre 2007 10:28
Ciao Paola e benvenuta in forum.

Beh la questione è davvero delicata e secondo me l'unica cosa da è indurre un terremoto in famiglia, mi spiego...
Da quello che leggo fino allo stato attuale delle cose il tuo comportamento di "assoggettamento" sulle loro volontà non ha fatto altro che aumentare il loro potere decisionale su di te e crearti grandi disagi, soprattutto psicologici.
Dico sempre che si parte da se stessi, non soltanto per la propria serenita-salute mentale/fisica ma anche per essere capaci di aiutare gli altri, in questo caso i tuoi genitori.

Mi fa rabbia sentire dire: ma quelli sono i tuoi genitori... questo è vero, ma spesso sono inevitabili le terapie d'urto!

Hai un ragazzo che ti vuole bene, che tu ami... Il mio consiglio è quello di rompere di netto con la tua famiglia andare a vivere da sola o con lui ed imporre "crudelmente" la tua vita a coloro (la tua famiglia) che non l'hanno mai accettata, far comprendere a tuo padre che sua moglie ha davvero bisogno di aiuto, molto probabilmente vedendosi "solo" riuscirà a farsi aiutare per aiutare sua moglie. Forse solo così inizierà tua madre a comprendere che ha bisogno di aiuto, finchè rimarrai sotto quel tetto credo che nulla cambierà.

Un abbraccio
gae
paola_m
00lunedì 1 ottobre 2007 10:51
grazie e aggiornamenti
Vi ringrazio di queste prime risposte. In effetti sono arrivata anch'io a capire che non posso sostituirmi a una persona nella volontà di intraprendere un percorso di cura. In questo ultimo periodo ho cominciato ad alzare un po' la testa sulle piccole cose, tipo l'esigenza di non essere chiamata continuamente al telefono mentre sono sul lavoro. Questo ha avuto effetti devastanti: credo di essere appena uscita dal fine settimana più brutto della mia vita.
La mamma è arrivata a minacciare il suicidio sporgendosi dal balcone.
Ora però sono qui in ufficio a raccontarlo e mi sembra già un risultato non essere impazzita, essere riuscita a chiedere aiuto a voi e al centro dove continuo ad andare, avere mantenuto contatti con il mondo esterno.
So, come mi avete detto, che è l'inizio di un percorso, preò ci sono e mi sento viva. Non mi sento una personalità fragile, penso di incontrare le difficoltà che ovviamente vengono da una situazione di grande sofferenza come questa. Ciò nonostante, condivido il fatto di dover essere forte e fare un percorso di assertività. Una delle difficoltà più grandi viene dal fatto che ormai la mia dinamica familiare non è regolata dal ragionamento, ma dalla forza.
Vi ringrazio di cuore di essermi vicini nel percorso che devo ancora fare.
Un ringraziamento speciale agli operatori e un abbraccio alle persone in difficoltà come me.
p
Geneshys
00lunedì 1 ottobre 2007 17:13
Re: grazie e aggiornamenti
paola_m, 01/10/2007 10.51:

Vi ringrazio di queste prime risposte. In effetti sono arrivata anch'io a capire che non posso sostituirmi a una persona nella volontà di intraprendere un percorso di cura. In questo ultimo periodo ho cominciato ad alzare un po' la testa sulle piccole cose, tipo l'esigenza di non essere chiamata continuamente al telefono mentre sono sul lavoro. Questo ha avuto effetti devastanti: credo di essere appena uscita dal fine settimana più brutto della mia vita.
La mamma è arrivata a minacciare il suicidio sporgendosi dal balcone.
Ora però sono qui in ufficio a raccontarlo e mi sembra già un risultato non essere impazzita, essere riuscita a chiedere aiuto a voi e al centro dove continuo ad andare, avere mantenuto contatti con il mondo esterno.
So, come mi avete detto, che è l'inizio di un percorso, preò ci sono e mi sento viva. Non mi sento una personalità fragile, penso di incontrare le difficoltà che ovviamente vengono da una situazione di grande sofferenza come questa. Ciò nonostante, condivido il fatto di dover essere forte e fare un percorso di assertività. Una delle difficoltà più grandi viene dal fatto che ormai la mia dinamica familiare non è regolata dal ragionamento, ma dalla forza.
Vi ringrazio di cuore di essermi vicini nel percorso che devo ancora fare.
Un ringraziamento speciale agli operatori e un abbraccio alle persone in difficoltà come me.
p




Ciao Paola

Facciamo una cosa, mi informerò con i servizi sociali del mio paese e ti farò sapere... Credo che tua madre abbia tantissimo bisogno di aiuto, magari facendo una denuncia o informando i servizi sociali che la donna è un pericolo per lei e per gli altri, gli imporranno di sottoporsi a visite specialistiche e andare in un centro di cura mentale.

Un abbraccio
Gae


Lilli66
00lunedì 1 ottobre 2007 17:24
Ciao, Paola
Cara Paola,
ho letto adesso il post che hai scritto a Gloria.
Stamattina ti avevo scritto, leggendo del tuo orribile fine settimana, poi però non riuscivo ad esprimere bene i miei sentimenti e ho lasciato perdere.
Volevo dirti che ti sento molto vicina per tante cose. Hai perfettamente ragione a dire che è difficile prendere delle decisioni quando si vivono situzioni in cui la violenza fisica manca oppure è solo occasionale. Ti sembra sempre di esagerare, di essere troppo vittimista. Una parola puoi interpretarla in tanti modi, uno schiaffo, no.
Tu però hai una consapevolezza che a me mancava alla tua età.
Io non ho vissuto una situazione come la tua, non così grave ed eclatante, però, quando vivevo nella mia famiglia di origine, ero sempre sottoposta a critiche e, soprattutto quando ho iniziato a frequentare dei ragazzi, ci sono state delle scenate che ancora ricordo. E sono passati più di vent'anni. Per non parlare delle proibizioni, delle intrusioni nella mia intimità. Ed ero una ragazzina normalissima! Mio padre non poteva certo dire di essere preoccupato perchè mi vedeva sbandata: ero sempre assennata e studiosa. Ma, come è normale, mi innamoravo, volevo uscire con questo o quel ragazzo...insomma, fare cose normalissime che per me erano quasi impossibili. Dovevo sempre inventare mille sotterfugi e bugie per fare le cose più innocenti.
Mi rendevo conto molto vagamente che la mia situazione non era giusta. Vedevo che molte ragazze del mio quartiere e della mia città, più o meno, subivano le stesse cose. Anzi, i padri le picchiavano anche, cosa che a me non accadeva. Era piuttosto normale. Credo lo sia in parte ancora adesso.
Una volta soltanto ne parlai ad una insegnante del mio liceo, stavo malissimo perchè mio padre mi aveva fatto una scenata, con relative proibizioni e punzioni, perchè un ragazzo mi aveva telefonato la sera prima. Fu la prima volta che sentii dire da un adulto che quello che subivo non era giusto.
Però non ho mai cercato aiuto, forse perchè alla fin fine la mia situazione non era così grave: con qualche bugia e sotterfugio riuscivo a cavarmela, poi, diventando più grande e autonoma, le cose sono cambiate parecchio. Anche se certe cose me le sono portate dentro come voci interiori.
E me ne sono accorta anni dopo, tanti anni dopo, quando mi sono trovata pian piano a vivere un matrimonio con un uomo che ha iniziato con critiche e intrusioni e poi è arrivato anche alle botte, seppure in modo occasionale.
Mi sto rendendo conto, adesso, che quelle voce interiori, quel sentirsi colpevoli anche delle cose più innocenti, quell'abitudine a vivere nel timore di essere sgridati, criticati, puniti, mi ha "preparata", mi portata poi a subire la violenza piscologica di mio marito, e poi anche quella fisica, senza neanche rendermene conto, senza riconoscerla.
Questo, credo sia il danno più grave che certe situazioni creano in noi. Una crepa nella nostra autostima, una menomazione (permanente?) della nostra capacità di riconoscere le emozioni, di capire cosa stiamo vivendo e subendo, mentre accade e anche dopo.
Ora ti saluto, cara Paola. Come ti ho detto all'inizio, ti sento molto vicina. Anche le cose che hai scritto a Gloria sulla religione le condivido in pieno.
Ti abbraccio,
L.
paola_m
00mercoledì 3 ottobre 2007 13:11
Ciao lilli66,
grazie del tuo supporto e delle tue parole. Mi pare di capire, comunque, dalle tue parole, che sei ben incamminata "sulla buona strada", che stai acquistando fiducia in te stessa e la stai perdendo invece in chi non la merita.
Mi ha molto colpito la decisione di Gloria della terapia di coppia perchè mi ricorda come anch'io tempo fa ero così aggrappata all'idea della terapia familiare. Poi mi sono fatta l'idea che un progetto che coinvolge più persone funziona se tutte le persone si sentono responsabili e solidali verso il risultato, non se una è messa costantemente all'angolo. Inoltre, mia mamma non vuol nemmeno sentire nominare cose di questo tipo. Così sto pensando alla terapia per me sola.
Io in questi giorni mi sento davvero schiacciata, anche perchè la mamma ora è particolarmente insistente e tutto questo ripetersi di episodi ormai tristemente consueti, ma ogni volta peggiori, anzichè rendermi più forte, spesso mi rende ancora più debole e passiva!
Serpeggia sempre quel sospettino che sia colpa mia!
E se anche la mia ragione si va sempre più convincendo che non è così, ho sempre, nella "pancia", una reazione ostinata e contraria, che probabilmente mi sta impedendo di muovermi.
In questi giorni mi sto adoperando per cercarmi un posto dove andare a dormire. Un posto piccolo, neutro, dove avere regole, magari rigide da rispettare, ma anche la libertà di pensare, di respirare, di essere. Quello che mi porto dentro dall'esperienza del centro anti-violenza è la volontà di imparare a camminare con le mie gambe, di relazionarmi al mondo come persona e non più come figlia dei miei genitori.
Io non ho grande esperienza di come si manda avanti una casa o si vive da soli, però ho esperienza di come le cose si imparano solo con l'esperienza. Ovviamente questo vale se l'esperienza te la lasciano fare senza criminalizzarti per ogni sbaglio o, peggio, spiando ogni singolo movimento che fai e anticipandoti che sarà un fallimento ancor prima che esso sia compiuto.
Quando un mese fa ho iniziato questo lavoro che faccio oggi, non sapevo nemmeno come si compila un libro protocollo o si emette fattura. A forza di errori, oggi me la cavo e faccio queste cose tranquillamente.
Ho molto riflettuto su quello che mi ha detto Gaetano e anche su quello che mi ha detto Ines, che con la mia condiscendenza mi sono resa il "pungiball" dei miei genitori e mi sto rovinando la vita.
Alle volte mi attribuisco pure la colpa che, se fossi stata "più dura", oggi saremmo tutti più sereni.
Il problema su cui ora vorrei convogliare le forze è quello di spezzare una buona volta questa spirale di condiscendenza e ricatti morali. Ma come?
Se questo confronto si gioca con le armi della "forza", io sono già perdente in partenza, perchè escludo di saper gridare più forte di mia madre. E poi anche se fossi capace non vorrei, perchè io sono una persona fragile, ma ho i miei valori e urlare in modo disumano, anche contro chi mi fa del male, riuscirebbe solo a farmi sentire che divento come la mamma.
D'altra parte, le armi della ragionevolezza non funzionano: la mamma non ha più, a mio avviso (e in questo è d'accordo anche la mia psicologa) alcuna capacità di ascolto e recepimento dei ragionamenti altrui e papà questi ragionamenti non intende proprio ascoltarli.
Ci sono forse le armi dell'affetto? Non so, finora l'affetto è stato usato come arma contro di me.
Una volta, leggendo un testo di esegesi, sono rimasta colpita dal fatto che "porgi l'altra guancia" non significa "fatti massacrare di botte", ma semplicemente "mostra che tu rifiuti di confrontarti con la violenza". Insomma, mi è rimasta la convinzione che la guancia superstite vada presentata solo per un attimo e poi rapidamente tirata indietro!
Un abbraccio a tutti.
p
Lilli66
00mercoledì 3 ottobre 2007 14:56
Grazie a te!
Cara Paola,
mi fa molto bene leggere le cose che hai scritto. Descrivi così bene i...MIEI sentimenti, che leggendo il tuo posto mi sembrava di averlo scritto io.
Tu parli della relazione con tua madre, io parlo di quella con mio marito, ma, quando leggo i tuoi post e ripenso alla tua situazione, tendo un po' a confondere la figura di mio marito con quella di mio padre, che aveva qualcosa di mio marito, qualcosa di tua madre.
I ricatti affettivi, quel peso che senti sempre sulle spalle: "non lo sai fare, non lo sai fare!", oppure: "Te l'avevo detto!", queste cose le conosco bene, ma solo ora riesco a dargli un nome, comincio ora a riconoscerle. Forse perchè, ti riepto, almeno nella mia famiglia di origine la situazione che ho vissuto non era fuori dalla normalità, soprattutto dalla "normalità" che vedevo attorno a me.
Vedo come ti stai torturando all'idea di andartene da casa. Ti poni il problema di come gestirai una tua casa. Immagini una situazione protetta e rassicurante.
Rassicurante per chi? Per te o per tua madre?
Anch'io ricordo che, quando dovevo andare via di casa (per motivi di studio), ho cercato una situazione simile. Poi mi ero ribellata all'idea di stare dalle suore, non per le suore, ma perchè mi andava di vivere un po' di libertà. E così sono andata ad abitare con delle altre ragazze. La prima casa era molto rassicurante, c'era la regola di non far mai entrare un uomo in casa, c'erano turni per tutto, regole rigidisssime su tutto. Ci stavo bene, ma sono stata molto meglio quando, cambiata città e cambiata casa, sono andata ad abitare in un'altra casa in cui non accadeva nulla di scandaloso, ma oltre ai turni per l'uso bagno al mattino e la divisione delle spese, ognuno faceva quello che gli pareva, da persona adulta e rispettosa degli altri inquilini.
Perchè devi dimostrare di essere una brava ragazza, una ragazza assennata? Lo sei, e fin troppo.
Capisco però che, quando si porta dentro una voce che ti dice "te l'avevo detto" ad ongi piccolo sbaglio, il timore di fare un passo avanti e dieci indietro è fortissimo.
Paola, capisco anche e molto i momoenti in cui ti senti sprofondare giù, ti senti naufragare, pensi che non ce la farai, non ce la farai.
Anch'io vivo questi momenti e mi logorano. Credo, anzi, sono sicura che facciano parte della violenza che abbiamo subito. E' proprio un effetto della violenza psicologica.
A volte basta proprio un niente per farmi scattare dentro delle ondate di disperazione, di panico.
Comunque, già il ruscire a dare dei nomi alle proprie emozioni, lo sforzo di riconoscerle, è importante. Il lavoro della psicoterapia è fondamentale, così come anche le persone che possono aiutarci.
La cosa bella che dici tu è che devi cammianare sulle tue gambe: la psicoterapia, gli amici, possono sostenerci, ma camminare da soli (che è la cosa più dura per una persona abituata a sentirsi dire che non lo sa fare) ti fa sentire sempre più forte.
Infine, sugli aspetti religiosi, ti consiglio un libro, si chiama "L'arte di perdonare", di Anselm Grun, delle Edizioni del Messaggero di Sant'Antonio. Si ordina su Internet, paghi con il bollettino postale (mi sembra 8 euro) e ti arriva a casa per posta. E' un libro che mi ha aiutata molto dal punto di vista spirituale, anche perchè parte dal presupposto che il perdono è un processo che dobbiamo costruire e che passa per varie fasi, tra cui la rabbia e il rancore, che sono giustificati e che dobbiamo imparare ad accettare e gestire.
Ciao, ti abbraccio,
L.
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