Grazie a te!
Cara Paola,
mi fa molto bene leggere le cose che hai scritto. Descrivi così bene i...MIEI sentimenti, che leggendo il tuo posto mi sembrava di averlo scritto io.
Tu parli della relazione con tua madre, io parlo di quella con mio marito, ma, quando leggo i tuoi post e ripenso alla tua situazione, tendo un po' a confondere la figura di mio marito con quella di mio padre, che aveva qualcosa di mio marito, qualcosa di tua madre.
I ricatti affettivi, quel peso che senti sempre sulle spalle: "non lo sai fare, non lo sai fare!", oppure: "Te l'avevo detto!", queste cose le conosco bene, ma solo ora riesco a dargli un nome, comincio ora a riconoscerle. Forse perchè, ti riepto, almeno nella mia famiglia di origine la situazione che ho vissuto non era fuori dalla normalità, soprattutto dalla "normalità" che vedevo attorno a me.
Vedo come ti stai torturando all'idea di andartene da casa. Ti poni il problema di come gestirai una tua casa. Immagini una situazione protetta e rassicurante.
Rassicurante per chi? Per te o per tua madre?
Anch'io ricordo che, quando dovevo andare via di casa (per motivi di studio), ho cercato una situazione simile. Poi mi ero ribellata all'idea di stare dalle suore, non per le suore, ma perchè mi andava di vivere un po' di libertà. E così sono andata ad abitare con delle altre ragazze. La prima casa era molto rassicurante, c'era la regola di non far mai entrare un uomo in casa, c'erano turni per tutto, regole rigidisssime su tutto. Ci stavo bene, ma sono stata molto meglio quando, cambiata città e cambiata casa, sono andata ad abitare in un'altra casa in cui non accadeva nulla di scandaloso, ma oltre ai turni per l'uso bagno al mattino e la divisione delle spese, ognuno faceva quello che gli pareva, da persona adulta e rispettosa degli altri inquilini.
Perchè devi dimostrare di essere una brava ragazza, una ragazza assennata? Lo sei, e fin troppo.
Capisco però che, quando si porta dentro una voce che ti dice "te l'avevo detto" ad ongi piccolo sbaglio, il timore di fare un passo avanti e dieci indietro è fortissimo.
Paola, capisco anche e molto i momoenti in cui ti senti sprofondare giù, ti senti naufragare, pensi che non ce la farai, non ce la farai.
Anch'io vivo questi momenti e mi logorano. Credo, anzi, sono sicura che facciano parte della violenza che abbiamo subito. E' proprio un effetto della violenza psicologica.
A volte basta proprio un niente per farmi scattare dentro delle ondate di disperazione, di panico.
Comunque, già il ruscire a dare dei nomi alle proprie emozioni, lo sforzo di riconoscerle, è importante. Il lavoro della psicoterapia è fondamentale, così come anche le persone che possono aiutarci.
La cosa bella che dici tu è che devi cammianare sulle tue gambe: la psicoterapia, gli amici, possono sostenerci, ma camminare da soli (che è la cosa più dura per una persona abituata a sentirsi dire che non lo sa fare) ti fa sentire sempre più forte.
Infine, sugli aspetti religiosi, ti consiglio un libro, si chiama "L'arte di perdonare", di Anselm Grun, delle Edizioni del Messaggero di Sant'Antonio. Si ordina su Internet, paghi con il bollettino postale (mi sembra 8 euro) e ti arriva a casa per posta. E' un libro che mi ha aiutata molto dal punto di vista spirituale, anche perchè parte dal presupposto che il perdono è un processo che dobbiamo costruire e che passa per varie fasi, tra cui la rabbia e il rancore, che sono giustificati e che dobbiamo imparare ad accettare e gestire.
Ciao, ti abbraccio,
L.