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Mehrangiz Kar

Ultimo Aggiornamento: 14/11/2006 08:41
14/11/2006 08:32
 
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Mehrangiz Kar



Mehrangiz Kar nasce ad Ahwaz, nell'Iran meridionale. Dopo gli studi liceali si trasferisce a Teheran e si laurea in legge e scienze politiche. Assunta come consulente legale al Ministero del Lavoro e della Sicurezza Sociale, Mehrangiz si distingue immediatamente per il suo impegno a favore dei diritti delle donne lavoratrici. Contemporaneamente intraprende una brillante carriera giornalistica. Con la vittoria della Rivoluzione Islamica nel 1979 Mehrangiz, è costretta, come migliaia di altre donne, a lasciare il suo lavoro nella pubblica amministrazione. Nel 1980 apre uno studio di consulenza legale che in pochi mesi si trasforma in un punto di riferimento per tutte le donne che quotidianamente si scontrano con la giustizia e la burocrazia per difendere i propri diritti. Collaborando con Shahla Lahidji, prima donna editrice della Repubblica Islamica, scrive diversi libri di denuncia sulla condizione della donna in Iran divenendo così uno dei bersagli preferiti degli ambienti religiosi tradizionalisti. "L'Angelo della Giustizia e vittime dell'Inferno", "L'identità delle donne iraniane" e "Discriminazione sessuale in Iran" sono soltanto alcuni dei titoli attraverso i quali Mehrangiz Kar analizza, racconta e denuncia ciò che ogni donna deve affrontare in Iran, non potendo disporre di un'esistenza autonoma.

Premio Internazionale per i Diritti Umani "Ludovic Trarieux" 2002

Il 7° premio Ludovic-Trarieux 2000 per i diritti dell'uomo è stato assegnato a la scrittrice, redattrice e avvocatessa dei diritti umani, Mehrangiz Kar. *

"La donna iraniana - afferma Mehrangiz Kar - ha da tempo abbandonato il serraglio e la mentalità del serraglio, lavora, studia, lotta contro la disuguaglianza e per cambiare il prorpio status sociale. Basti sapere che il 53% della popolazione è femminile. Tuttavia non è un segreto che parte delle leggi del nostro paese sia assolutamente sfavorevole a tale processo di cambiamento. I passi avanti andranno conquistati con pazienza, perseveranza e resistenza, enfatizzando la necessità della parità dei diritti e delle opportunità non solo da un punto di vista morale ma anche come requisito per la crescita economica e sociale del nostro paese".

In 2001 Mehrangiz Kar è imputata in un processo che la vede accusata, assieme ad altri 18 giornalisti e scrittori, di "attentato contro la sicurezza dello Stato". Il gruppo è colpevole di aver partecipato a Berlino, nell'aprile di quest'anno, a un seminario organizzato dalla Fondazione Heinrich Boell su "La dinamica delle riforme nella Repubblica Islamica". Malgrado i gravi problemi di salute, ha subito da poco un intervento per un tumore al seno, Mehrangiz Kar fu tratta in arresto con la redattrice Shahla Lahiji il 29 Aprile 2000 per aver partecipato ad una conferenza accademica culturale all'Istituto Heinrich Boll di Berlino, dal 7 al 9 aprile 2000, dove venne pubblicamente dibattuto il tema delle riforme sociali e politiche in corso in Iran. Ambedue le scrittrici furono poi rilasciate sulla parola il 21 giugno seguente, per essere condannate al processo del 13 gennaio 2001 a quattro anni di detenzione per "comportamenti atti a destabilizzare la sicurezza dello stato" e per aver fatto propaganda contro il regime. Altri tre scrittori sono stati tratti in arresto e condannati a pene che vanno dai quattro ai dieci anni per aver partecipato alla suddetta conferenza.

Nel mese di aprile 2000 si è tenuta a Berlino una conferenza accademica, alla quale hanno partecipato diciassette intellettuali iraniani, e che è stata 'disturbata' dai gruppi politici iraniani in esilio. La conferenza è stata filmata dalla compagnia televisiva di stato iraniana ed è stata fonte di accese controversie. I partecipanti, al ritorno in Iran, sono stati interrogati e alcuni di loro detenuti, anche per lunghi periodi. I partecipanti e i traduttori dei documenti della conferenza dei mesi di ottobre e novembre, sono stati processati per il loro coinvolgimento nella conferenza. Sono stati accusati vagamente di serie accuse riguardanti la "sicurezza nazionale", la "propaganda contro lo stato" e gli "insulti all'Islam". Alla fine dell'anno non è stato emesso alcun verdetto, ma le prove usate nei processi comprendevano i discorsi sviluppati a Berlino, legalmente pubblicati e disponibili in Iran.

Allo stesso tempo la Kar sta affrontando anche altre cause civili per essere stata denunciata alle autorità per non aver osservato la severa legge dell'Hejab che vuole tutte le donne coperte in ogni parte del loro corpo dalla testa ai piedi, ed ancora, per aver fatto propaganda contro la Repubblica iraniana. Le accuse relative all'osservanza dell'Hejab, contro le donne che le autorità vorrebbero continuare a tenere sotto controllo tramite l'intimidazione, sono molto comuni. Sia la Kar che la Lahiji sono state più volte prese di mira dalle autorità iraniane in relazione alla loro attività di attiviste per i diritti delle donne.

Mehrangiz Kar è stata condannata a quattro anni di carcere per aver agito contro la sicurezza nazionale e aver fatto propaganda anti-islamica. Si presume che Kar dovrà affrontare altri tre processi dinanzi a un tribunale civile per aver violato l'obbligo dello hejab (il velo che copre sia il capo che il corpo delle donne), per aver negato la necessità dello hejab e per aver divulgato materiale di propaganda contrario ai principi della repubblica islamica dell'Iran. L'editrice Shahla Lahiji è stata condannata a quattro anni di carcere per aver agito contro la sicurezza nazionale, aver diffuso propaganda anti-islamica e per la sua partecipazione alla conferenza di Berlino.

Kar è malata di cancro al seno avrebbe bisogno di cure urgenti all'estero. Le è stato negato il permesso di viaggiare.ma finalmente le autorità iraniane accetano di concedere il permesso a Mehrangiz Kar, momentaneamente libera "sulla parola" in attesa dell'appello.di recarsi all'estero per ricevere delle cure mediche per il tumore ai polmoni che gli è stato diagnosticato immediatamente dopo il suo rilascio dal carcere, nel giugno 2000. [...]» .

Fonte: idhbb


14/11/2006 08:33
 
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Kar ha pubblicato molti lavori sulle problematiche femminili.

Tra gli altri:
- Children of Addiction: Social and Legal Position of the Children of Addicted Parents (Figli della tossicomania: posizione sociale e legale dei figli di genitori tossicomani), Iran, 1990.

- Quest for identity: The Image of Iranian Women in Prehistory and History (Ricerca di identità: l’immagine delle donne iraniane nella preistoria e nella storia) Vol. 1 e 11 (Vol. 1 1992, vol. II pronto per la stampa), curato con Shahla Lahiji, prima donna editore in Iran, accusata e condannata nello stesso processo di Mehrangiz.

- Angel of Justice and Patches of Hell, (Angelo di giustizia e frammenti di inferno), una collezione di saggi sullo status e la posizione della donna nell’Iran pre- e postrivoluzionario.

- Women in the Iranian Labor Market (Donne nel mercato del lavoro iraniano, 1994) e Legal Structure of the Family System in Iran (Struttura legale del sistema familiare in Iran).


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Intervista a Mehrangiz Kar
di Farian Sabahi - 8 marzo 2006

«I finanziamenti degli Stati Uniti agli attivisti iraniani
rischiano di essere controproducenti. A Teheran i conservatori potrebbero prendere questi finanziamenti a pretesto per accusare di spionaggio gli esponenti della società civile», dichiara l’avvocatessa iraniana Mehrangiz Kar bocciando l’iniziativa del segretario di Stato americano Condoleezza
Rice che ha chiesto 75 milioni di dollari al Congresso per l’opposizione iraniana, quindici dei quali destinati a gruppi che promuovono i diritti umani. Sessantadue anni, Mehrangiz Kar lotta da sempre per la democrazia nel suo paese e, proprio per questo, è stata condannata dalla magistratura
iraniana a quattro anni di carcere. Ora vive a Boston e insegna a Harvard.

Come può contribuire la comunità internazionale alla
sicurezza di coloro che, in Iran, lottano per maggiori diritti?

Dovreste pensare un po’ meno al nucleare e un po’ più ai
diritti umani. Gli attivisti rischiano molto, soprattutto ora che è stato eletto alla presidenza l’ultraconservatore Ahmadinejad. Purtroppo anche durante il periodo riformista non si è potuto fare influire granché sulla legislazione
in vigore in Iran, sulle attività del parlamento e sulle decisioni del Consiglio dei Guardiani. Con il riformatore Khatami non ci sono stati cambiamenti né nel codice penale iraniano né nel diritto di famiglia, in cui sono discriminati le donne e i non musulmani.

Perché Khatami non ha potuto mettere in atto le riforme promesse e tanto attese?
Non ne ha avuto il coraggio, Khatami non ha voluto
rischiare perché il vero potere è sempre stato nelle mani della destra.
Inoltre, la costituzione iraniana non si può emendare e il Consiglio dei Guardiani, anch’esso conservatore, ha il diritto di veto sulle leggi promulgate dal parlamento.
Lei è stata in carcere proprio durante il primo mandato
presidenziale di Khatami, che cosa è successo?
Nell’aprile del 2000 partecipai a una conferenza sul futuro
dell'Iran, organizzata a Berlino dalla fondazione Heinrich Böll. Al mio rientro fui arrestata, insieme a diciassette esponenti della società civile, alcuni membri del clero, altri laici. La discussione verteva sul movimento riformista: a febbraio era stato eletto un parlamento in cui la maggioranza
dei deputati aderiva al partito di Khatami. Ci auguravamo che i deputati potessero votare nuove leggi, nel rispetto dei diritti umani. Dissi che gli ostacoli alle riforme sono nella costituzione e quindi occorre emendare la costituzione. Fui arrestata per queste affermazioni e per avere agito contro
l’interesse nazionale.

Quanto tempo è stata in carcere?
Meno di due mesi, sempre in cella d’isolamento, notte e
giorno. Durante gli interrogatori mi ponevano domande che non avevano nulla a che vedere con la conferenza di Berlino. Avevo 57 anni, ma mi chiedevano di quando ne avevo ventiquattro, di articoli scritti al tempo dello scià, tanti anni prima della rivoluzione. Ero sorpresa: sono un’avvocatessa, ho esercitato per oltre vent’anni e i miei clienti mi avevano riferito di interrogatori strani ma stentavo a crederci. Quando ti arrestano, oppure quando i servizi segreti ti rapiscono, vogliono farti confessare e costruire un dossier contro di te. La magistratura non rispetta la legge e può impedire all’avvocato difensore di comparire in tribunale. Gli accusati si ritrovano soli di fronte al giudice, sono torturati, subiscono pressioni.
Nessuno è testimone di queste malefatte e la magistratura ottiene tutto ciò che vuole.

Durante i due mesi in carcere lei ha subito violenza?
Non sono stata torturata nel corpo ma nella mente. Mi
minacciavano e a ferirmi fu la pressione esercitata su mio marito Siamak, che ha tredici anni più di me, e sulla figlia più piccola, convocati dal giudice in tribunale anche se non mi avevano accompagnato alla conferenza di Berlino. Portarono mio marito in un’altra stanza, lo interrogarono, ma lui non c’entrava nulla.

Lei è uscita di carcere pagando una cauzione?
Sì. Mentre ero in carcere mi resi conto di avere un tumore
al seno. Mi sottoposi a un intervento chirurgico radicale, feci la chemioterapia e la radioterapia. Fui condannata a quattro anni di carcere e solo grazie alle pressioni internazionali potei lasciare l’Iran per essere curata negli Stati Uniti. Avevo già la green card, alcuni medici iraniani mi avevano invitato all’università di Yale, assicurandomi cure mediche
gratuite. Lasciai l’Iran senza pensare di stare via tanto a lungo.

Che cosa è successo a suo marito, Siamak Pourzand?
Negli Stati Uniti venni a sapere che era stato rapito dai servizi segreti. Era rinchiuso come un animale, torturato, picchiato, minacciato. Dopo mesi è apparso in una trasmissione televisiva. Ho stentato a riconoscere il padre delle mie figlie, aveva perso oltre trenta chili. Era impazzito, criticava se stesso, me, i suoi amici. Queste circostanze ci hanno turbato profondamente. Un anno dopo, in seguito alle
pressioni dell’Unione Europea, Siamak è stato rilasciato, per poi essere arrestato nuovamente. In seguito alle richieste internazionali, la magistratura iraniana ha permesso che mio marito andasse in ospedale. E’ stato operato, ora è agli arresti domiciliari ma non è un uomo libero: non sappiamo nemmeno quale sia l’accusa, può essere arrestato in ogni
momento, le autorità lo torturano psicologicamente, lo minacciano per telefono, ha sempre paura.

La vostra famiglia…
Siamo sparpagliati in giro per il mondo: io non posso
tornare in Iran, mi è stato sconsigliato. Mia figlia di 31 anni vive in Canada, l’ambasciatore canadese a Teheran le diede un visto prima del mio arresto, quando minacciavano lei per fare pressione su di me. Il telefono di casa era sotto controllo e i servizi segreti hanno scoperto che aveva un fidanzato: le
chiedevano di avere rapporti sessuali anche con loro, altrimenti mi avrebbero ucciso. L’ho fatta partire appena possibile, ora ha passaporto canadese. Sua sorella minore ha ventun anni, è iscritta all’università nell’Ohio e ora è a Buenos Aires per uno scambio. Io vivo a Boston, ho scritto a persone importanti, sono vecchia e malata, vorrei morire nel mio
paese.

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