Re:
Scritto da: Pedagogista 23/05/2006 19.23
Magari fosse il contrario. Dobbiamo
> cercare di adoperarci un pò tutti, chi con la propria
> professionalità, chi con la propria sensibiltà,
> non scoraggiandoci mai, al fine di capire ed operare
> per far diminuire questi assurdi fatti di cronaca,
> per tentare quantomeno di migliorare l'umanità;
> una umanità, lasciatemelo dire, a cui manca la
presenza di Dio nel cuore
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Il tuo intervento è senza dubbio interessante.
Ma fino a che punto il lavoro di alcuni educatori, o di tutti quelli che hanno buona volontà, può servire a limitare il problema?
Parli di famiglie perbene e di famiglie malsane. Ritieni che chi viva in famiglie malsane possa essere potenzialmente pericoloso.
Questo sarebbe vero se chi si abbandonasse alla violenza provenisse solo da famiglie malsane. Ma non mi pare sia così. Ci sono molti membri di famiglie perbene, consolidate, che sfuggono alla regola e sorprendono per i loro atti criminosi.
A me è parso, ma è una mia opinione, che Geneshys abbia colto nel segno quando ha recitato:
"Forse la furia omicida è scattata alla richiesta della ragazza di riconoscimento del nascituro o di un qualche aiuto per garantire il suo futuro. ... Una volta saliti in auto sarebbe iniziata la discussione sul futuro del figlio in arrivo...
Una questione che Niero, sposato, non riusciva più a gestire, visto che alla moglie non aveva mai parlato della relazione avuta con la ragazza. Il diverbio era presto sfociato in lite. A quel punto - secondo il racconto dell'uomo - è scattata la molla della violenza."
Il mio commento è stato:
"E' in questo fattore che a me pare di intravvedere lo spunto per la violenza. Il non aver visto via d'uscita da una situazione che forse in circostanze diverse (ad esempio da scapolo) l'avrebbe indotto ad una soluzione condivisa.
In quel momento la codivisione gli dovrebbe essere apparsa impossibile, per la ricaduta che essa avrebbe potuto avere in campo sociale e familiare. Forse la paura ed il terrore di dover
rivelarsi a moglie e figli ed al'intera famiglia in una veste diversa da quella che, forse, fino a quel momento aveva costruito in modo diverso."
Giorni fa ho letto un'intervista al professor Sergio Martella, psicoterapeuta, il quale mette il dito, a parer suo, su una possibile causa del danno cui ci stiamo riferendo:
"Nel constatare quanto in Italia sia evidente tale carenza, stiamo cercando di coinvolgere in un progetto unitario coloro che a buon diritto intendono mettere la loro professionalità al servizio di un obiettivo di indagine. Nella mia attività professionale e clinica ho avuto modo di verificare e raccogliere una serie di connessioni tra modalità formative che tendono a deprimere l'identità psico-affettiva nella costituzione evolutiva della persona e le inevitabili conseguenze nella determinazione del destino individuale e sociale dell'uomo. Il mondo reale è, infatti, una rappresentazione di ciò che è stato impresso nella fase costituente dell'Io. La psicologa svizzera Alice Miller, per esempio, ne "La persecuzione del bambino" [1] cerca con ansia di mettere in guardia gli educatori dagli effetti della pedagogia nera della religione. Ma ogni appello alla razionalità è utile solo se possiamo educare a riconoscere gli stili formativi che producono un accumulo di cattiveria, di distruttività e di infelicità nell'uomo. L'insegnamento cristiano è falsamente improntato all'amore universale: basta guardare il simbolo genetico del cristianesimo, il crocifisso e ciò che esso rappresenta, per capire la componente di ambivalenza sadica e masochista che questo "amore" veicola nell'inconscio dei bambini. Il sacrificio come premessa, l'esordio della vita nella colpa, l'inquietante percezione di un uso distorto dell'autorità del genitore, equiparato a dio, nell'espropriare il corpo del figlio e nel farne l'oggetto da distruggere per le proprie incarnazioni mistiche. Infatti, secondo il racconto cristiano: la trinità familiare si incarna nel ruolo del figlio, il quale viene destinato al martirio ed al sacrificio per la salvezza dei suoi stessi assassini e dell’umanità."
www.arte-e-psiche.com/M_A/si_pu%F2_uccidere.htm
Cosa ne pensate?
Può essere che retaggi culturali e religiosi possano ingenerare momenti di violenza?
Tanti saluti
Il Gabbiano