Senza sporcarsi le mani

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Pedagogista
00mercoledì 15 novembre 2006 04:27

Può uno sguardo fare paura? Può confondere, togliere ogni sicurezza rispetto al proprio modo di essere in relazione alle situazioni?
Può la semplice presenza di 'quella' persona, farci sentire inadeguate ad ogni contesto, incapaci di affrontare e risolvere qualsiasi problema? Uno sguardo che ci accompagna e ci giudica in ogni minimo gesto quotidiano, che ci fa sentire di non essere mai come 'dovremmo' essere.

Può uno sguardo, quello sguardo, essere su di noi anche se quella persona non è con noi in quel momento?
E può essere che quello sguardo appartenga ad una persona cara, ad un fidanzato, un marito, un padre o un famigliare?
Io credo proprio di sì e credo che spesso dentro la sensazione di essere inadeguate, sbagliate, inopportune e incapaci, dietro agli sguardi sfuggenti o al contrario sfidanti e disperatamente provocatori di molte donne, si possano celare situazioni di violenza psicologica, esercitata all'interno della sfera privata.

Non ci sono solamente le violenze ed i maltrattamenti fisici che segnano profondamente le persone, ma anche quelli psicologici che non lasciano lividi ed escoriazioni visibili nel corpo, ma non di meno producono ferite in luoghi non visibili, dentro le persone, e segnano profondamente la loro vita.

Possono essere violente le parole? Possono i toni di voce o i silenzi ferire e, se protratti, togliere ogni sicurezza e gioia di vivere? Sì, ci sono parole che possono ferire profondamente come pugnali, possono essere usate per umiliare e giorno dopo giorno possono distruggere una persona. Ci sono aggressioni che non agiscono direttamente sul piano fisico come uno schiaffo, una spinta, un pugno, un calcio, ma giorno dopo giorno creano un clima invivibile ed attuano un processo di distruzione psicologica attraverso parole denigratorie continue (non sai fare nulla, sei proprio una persona inutile, che cosa vuoi parlare tu che non sei nessuno, solo una povera idiota potrebbe fare quello che fai tu). E poi ci sono i gesti ed i silenzi accusatori, gli sguardi e i toni di voce di continua disapprovazione che ridicolizzano ogni cosa detta o fatta.

Un clima di disapprovazione continua dove qualsiasi atteggiamento o comportamento viene ritenuto sbagliato, inadatto. E questo non è tanto perché, come chi perpetra violenza psicologica vorrebbe far credere, è un comportamento ad essere preso di mira, ma è invece presa di mira la persona in quanto tale, in ogni cosa che fa ed in cui manifesti la propria individualità e la propria identità.
Non a caso la violenza psicologica, silenziosa ed invisibile ma non per questo meno devastante di quella fisica, viene esercitata sulle donne per lo più in famiglia o nella coppia, da un padre, un marito o un fidanzato che, in questo modo, ribadisce il proprio dominio e la propria superiorità.

Parole, gesti, toni allusivi, offese velate o esplicite che possono umiliare, distruggere lentamente ma in profondità, senza sporcarsi le mani.
E la cosa più terribile è proprio quando questo atteggiamento viene attuato da una persona cara, che si ama o si è amata profondamente e verso la quale ci si è aperti e con fiducia.
La violenza psicologica è un processo di distruzione costituito da manovre ostili che possono essere esplicite o nascoste. La svalutazione di tutto ciò che una persona fa o pensa, a cui è interessata o in cui crede. Oppure la limitazione della libertà di movimento, come impedire alla donna di uscire da sola magari adducendo motivi circa la pericolosità dei luoghi, degli orari, o trasformando la rinuncia come prova d'amore o di fedeltà.
O ancora la limitazione della libertà economica, mettendo la persona in condizione di dover chiedere per far fronte ad ogni esigenza personale e famigliare.

Ma possono essere anche manovre più nascoste come il sarcasmo, la derisione continua, il disprezzo, espresso anche in pubblico con nomignoli o appellativi offensivi, mettendo costantemente in dubbio la capacità di giudizio o di decisione.
Tutto questo protratto nel tempo fino a destabilizzare una persona e distruggerla senza che chi le sta intorno se ne accorga e possa quindi intervenire.

Le donne sottoposte costantemente a questo clima 'vacillano', cominciano a dubitare dei propri pensieri, dei propri sentimenti, si sentono sempre in colpa, inadeguate e spesso si isolano o vengono isolate perché assumono comportamenti non spontanei, scontrosi, lamentosi o ossessivi con le persone che intorno non comprendono e giudicano negativamente. Così la donna resta isolata, senza appoggio.

La violenza psicologica è una violenza oggettiva, chi subisce aggressione psichica è sottoposto ad un evento traumatico, chi è sottoposto a violenza psicologica si trova in uno stato di stress permanente.
Nella coppia la violenza psicologica è spesso negata e banalizzata. Si tende troppo spesso a considerare la donna complice dell'aggressore perché non riesce, non sa o non vuole ribellarsi, ma questo è esattamente il risultato della violenza esercitata. La vittima di violenza psicologica è paralizzata, confusa, sente il dolore, la sofferenza emotiva, ma non riconosce l'aggressione subita.
Il problema relativo alla violenza psicologica, infatti, è relativo al riconoscimento di essa, alla consapevolezza di esservi sottoposti.

La difficoltà per molte donne è legata al dover ammettere a se stesse di amare o aver amato qualcuno da cui, invece, ci si deve difendere; al dover abbandonare l'ideale di amore romantico per cui il fidanzato o il marito che offende o denigra, con il nostro amore, cambierà. Occorre rinunciare all'ideale di tolleranza femminile e spesso, molto spesso, è difficile arrivare da sole e senza aiuto a riconoscere di essere state sottoposte ad aggressioni psicologiche.
Occorre chiedere aiuto, occorre venire aiutati da esperti.

Spesso l'unica soluzione è chiedere aiuto in relazione alla presenza dei sintomi che derivano dalla costante tensione interiore, dal dover reggere la situazione, sforzandosi di non reagire, spesso di comprendere e giustificare e ancora dallo stress che la confusione stessa genera.
I segnali di malessere si possono individuare nei disturbi del sonno, nell'irritabilità, nell'insorgenza frequente di mal di testa e cefalee, nei disturbi gastrointestinali o in un continuo stato di apprensione, di tensione costate e di ansia. Questi possono essere considerati segnali di disagio di cui è opportuno verificare l'origine per poter, spesso lentamente e con fatica, prendere consapevolezza delle aggressioni subite, comprendere perché le si è assorbite e ridefinire i propri limiti di tollerabilità, in modo che non vengano mai più oltrepassati.


Cinzia Sintini
(psicologa-psicoterapeuta)

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