Nagib Mahfuz è morto ieri a 94 anni

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Geneshys
00giovedì 31 agosto 2006 14:51

LO SCRITTORE, PREMIO NOBEL NELL’88, È MORTO IERI A 94 ANNI: TRA REALISMO E FAVOLA, REALTÀ E MEMORIA, HA SEGNATO UNA SVOLTA NELLA LETTERATURA DEL MONDO ARABO

Mahfuz dai faraoni ai kamikaze
31/8/2006
di Claudio Gorlier




Nagib Mahfuz

Lo scrittore egiziano Nagib Mahfuz, premio Nobel per la letteratura nel 1988, è morto ieri al Cairo in un ospedale del ministero dell’Interno. Aveva 94 anni. Da tre settimane si trovava nel reparto di terapia intensiva, dopo essere stato ricoverato il 19 luglio in seguito a una caduta per strada che gli aveva procurato una profonda ferita alla testa rendendo necessario un intervento chirurgico. Mahfuz, affetto da gravi disturbi arteriosi e renali, non ha retto a un improvviso calo della pressione, associato all'emorragia interna originata da un’ulcera.

Nagib Mahfuz ha rappresentato un esempio impareggiabile di intellettuale e di scrittore profondamente radicato nel suo mondo e al tempo stesso dotato di una intensità di portata davvero universale. Nato al Cairo l’11 dicembre 1911, settimo figlio di una famiglia assai modesta, si laureò a pieni voti in filosofia, lavorò come funzionario al ministero egiziano della Cultura intraprendendo presto una brillante carriera giornalistica.

Nel 1947 il suo Vicolo del mortaio segnò un’autentica svolta nella letteratura del mondo arabo. La singolare riuscita del romanzo si deve ad almeno due aspetti cruciali. Il primo è quello linguistico, perché, di fronte alla molteplice ma anche frammentata varietà dell’arabo parlato, assai arduo da ricondurre a una costante letteraria, Mahfuz si indirizzò all’arabo classico, padroneggiandone una misura limpida, diretta, tale da riuscire accessibile per il lettore di oggi. Il secondo riguarda il taglio stesso del romanzo, costruito su un’immediatezza che potremmo definire quotidiana, con un Cairo delle strade, dei locali, di incontri della gente e con personaggi tratti da una realtà diretta, rappresentati con impareggiabile vivacità nelle loro parole, nei gesti, nei problemi in apparenza persino banali. Pesa su di loro l’ombra della guerra, e dunque una inquietudine che peraltro affrontano senza lasciarsi travolgere, capaci di armonizzare la tradizione e l’avvento di una cauta modernità. La coralità del romanzo si affida così a interrogativi, a riflessioni, ad abitudini insieme protette e reinventate, magari inconsciamente. Nessuna concessione all’esotico, al luogo comune: l’arte di Mahfuz trasforma appunto il quotidiano in esemplare.

Oltre quaranta romanzi
Iniziata nel 1956, La trilogia del Cairo (composta dai romanzi Tra i due palazzi, Il palazzo del desiderio e La via dello zucchero), abbraccia un periodo che va dal 1917 al 1944: è la storia di tre generazioni di una famiglia borghese della capitale, dove le vicende individuali si coniugano con lo sviluppo irresistibile ma spesso convulso del paese. Scrittore estremamente prolifico - più di quaranta i suoi romanzi - Mahfuz rivela qui un respiro davvero unico, nel quale le vicende private si collocano in una prospettiva di singolare ampiezza. Così, se Il tordo e l’autunno e I figli del nostro quartiere ripropongono un paesaggio umano diretto, sempre più imperiosamente si dispiega una prospettiva storica che, come già nella Battaglia di Tebe, ci riporta indietro addirittura al periodo dei faraoni.

Una dimensione persino tragica percorre, quasi specularmente, e in misura crescente, i romanzi di Mahfuz. E allora, se il limpido Miramar ci offre un ritratto di Alessandria («Alessandria goccia di rugiada. Esplosione di nubi bianche. Sei come un fiore in boccio bagnato da raggi irrorati dall’acqua del cielo»), un altro dei suoi libri fondamentali, Il ladro e i cani, affronta il problema che si suole associare con un filone europeo come quello della identità negata. La vicenda del ladro che dopo quattro anni di carcere ritrova la libertà ed è assetato dal desiderio di vendetta per chi lo ha spogliato dei suoi beni e gli ha strappato l’amore della moglie e della figlia sconsacra gli insegnamenti del suo vecchio maestro spirituale. Allora, la storia personale del ladro Mahran finisce per trascendere il singolo caso per diventare emblematica di una crisi di valori, non senza evidenti ricadute di carattere metafisico, oltre che sociale.

Una valenza simbolica
Mi sembra opportuno dissipare qui il luogo comune di Mahfuz scrittore realista, per sottolineare invece la valenza simbolica, persino trascendente, di tutta la sua lezione. Pensiamo all’incandescente Il giorno in cui fu ucciso il leader, romanzo che trova la sua tragica scena finale nell’assassinio del presidente Sadat, nel 1981, e dove il privato del profilo di una famiglia della classe media si allarga al pubblico dell’Infitah, la politica che dovrebbe favorire la modernizzazione e accresce invece le disparità sociali.

Dunque: realismo e favola, realtà e memoria, rammentando la ricca allegoria di Notti delle Mille e una notte, a mostrare la relazione tra realtà e magia, nel segno di una tradizione mai cancellata. Mahfuz viveva in un’abitazione protetta costantemente, dopo che nel 1994 un attentato da parte di integralisti islamici lo aveva irrimediabilmente segnato nel fisico. Ma, in una intervista al New York Times di qualche anno fa, lo scrittore espresse la sua disapprovazione per gli attentatori suicidi aggiungendo, peraltro, che li comprendeva. Fino all’ultimo Mahfuz è stato uno dei più grandi scrittori testimoni, anche di fronte alle tragiche contraddizioni del suo mondo, e vivendo il proprio tormento.


Fonte: La Stampa


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