AMNESTY INTERNATIONAL: RAPPORTO ANNUALE 2006

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FidelisAdmin
00martedì 30 maggio 2006 12:34
Il Rapporto Annuale 2006 di Amnesty International: i poveri e gli svantaggiati della terra pagano il prezzo della “guerra al terrore”

Il quadro del 2005 che emerge dal Rapporto Annuale di Amnesty International, presentato a Roma dal presidente della Sezione Italiana dell’associazione, Paolo Pobbiati, è quello di “un anno pieno di contraddizioni, durante il quale segnali di speranza per i diritti umani sono stati indeboliti dagli inganni e dalle false promesse dei governi che hanno più voce in capitolo. L’agenda della sicurezza, promossa da chi ha potere e privilegio, ha sviato le energie e l’attenzione del mondo dalle gravi crisi dei diritti umani in corso”.

I governi, da soli e collettivamente, hanno paralizzato le istituzioni internazionali, dilapidato risorse pubbliche per perseguire obiettivi di sicurezza limitati e di corto respiro, sacrificato valori in nome della “guerra al terrore” e chiuso gli occhi di fronte a violazioni dei diritti umani su scala massiccia. La conseguenza è che il mondo ha pagato un prezzo elevato, in termini di erosione dei principi fondamentali e di enormi danni arrecati alla vita e al benessere della gente comune.

La discontinua attenzione e la flebile azione delle Nazioni Unite e dell’Unione Africana si sono dimostrate pateticamente inadeguate rispetto a quanto occorreva fare nel Darfur, la regione del Sudan in cui sono stati commessi crimini di guerra e crimini contro l’umanità ad opera di tutte le parti coinvolte in un conflitto che ha causato migliaia di morti e ha costretto alla fuga milioni di persone.

“Nel 2005, l’Iraq è affondato in un vortice di violenza settaria. È questa la dimostrazione che quando le grandi potenze sono troppo arroganti per rivedere e mutare le proprie strategie, il prezzo più alto viene pagato dai poveri e da chi non ha potere: in questo caso donne, uomini e bambini iracheni” – ha denunciato Pobbiati. “Contemporaneamente, Israele e i Territori Occupati sono scomparsi dall’agenda internazionale: ciò ha acuito l’angoscia e la disperazione della popolazione palestinese, da un lato, e le paure di quella israeliana dall’altro”.

La brutalità e l’intensità degli attacchi dei gruppi armati hanno raggiunto nuovi livelli nel corso del 2005, con un conseguente alto tributo di vite umane.

“Il terrorismo dei gruppi armati è ingiustificabile e inaccettabile. I responsabili devono essere portati di fronte alla giustizia, ma attraverso processi equi e non con la tortura e le detenzioni segrete – ha sottolineato Pobbiati. “Purtroppo, la crescente brutalità di queste azioni in ogni parte del mondo ha rappresentato un ulteriore, amaro monito: la ‘guerra al terrore’ sta fallendo e continuerà a fallire fino a quando non verrà data precedenza ai diritti umani e alla sicurezza umana, anziché a interessi di sicurezza nazionale limitati e di corto respiro”.

Nel corso del 2005, speranze e frustrazioni sono andate di pari passo.

L’anno ha visto in scena una delle più grandi mobilitazioni della società civile contro la povertà e per la lotta in favore dei diritti economici e sociali. Il Summit delle Nazioni Unite che ha esaminato l’attuazione degli Obiettivi di sviluppo del Millennio, ha mostrato la clamorosa distanza tra gli impegni dichiarati e l’azione concreta. Ad esempio, a parole i governi hanno sostenuto i diritti delle donne ma nella realtà non hanno dato seguito agli obiettivi internazionali relativi all’uguale accesso delle bambine all’educazione.

Nel 2005 la richiesta di giustizia ha fatto passi avanti quando la Corte penale internazionale ha emesso i suoi primi mandati d’arresto per crimini contro l’umanità e crimini di guerra in Uganda. L’immunità di cui godevano ex capi di Stato è stata contrastata in America Latina: Augusto Pinochet è stato posto agli arresti domiciliari ed è stato eseguito un mandato di cattura internazionale nei confronti di Alberto Fujimori.

Potenti governi sono stati chiamati a rendere conto del proprio operato di fronte a organi di giustizia e istituzioni. La massima corte britannica ha rigettato il proposito del governo di Londra di usare prove estorte con la tortura. Il Consiglio d’Europa e il Parlamento Europeo hanno aperto inchieste sul coinvolgimento dell’Europa nel programma Usa di “consegne”, i trasferimenti illegali di prigionieri in paesi dove avrebbero rischiato di subire torture o altri abusi.

“Rivelazione dopo rivelazione, è emerso fino a che punto i governi europei sono stati complici degli Usa, sfidando il divieto assoluto di tortura e di maltrattamenti e subappaltando queste pratiche mediante il trasferimento di prigionieri in paesi come Arabia Saudita, Egitto, Giordania, Marocco e Siria, noti per praticare la tortura” - ha accusato Pobbiati. “Purtroppo, anziché accettare e apprezzare gli sforzi delle corti e dei parlamenti per ristabilire il rispetto dei principi fondamentali in materia di diritti umani, alcuni governi hanno cercato di trovare nuovi modi per aggirare i propri obblighi. Il Regno Unito ha seguito la strada delle ‘assicurazioni diplomatiche’, o garanzie scritte, per poter espellere persone verso paesi dove sarebbero state a rischio di tortura”.

Nonostante l’opposizione del presidente Bush, il Congresso Usa ha ribadito il divieto di tortura e di altri maltrattamenti, ma ha anche gravemente ristretto il diritto dei detenuti di Guantánamo di ottenere una revisione giudiziaria dei propri casi da parte delle corti federali.

“Così come dobbiamo condannare nella maniera più assoluta gli attacchi terroristici contro i civili, dobbiamo respingere le affermazioni dei governi secondo cui il terrore può essere combattuto con la tortura. Si tratta di affermazioni fuorvianti, pericolose e sbagliate: come si può spegnere un incendio con la benzina?” – ha proseguito Pobbiati.

L’uso di un doppio linguaggio e di doppi standard, da parte delle grandi potenze, è pericoloso – sostiene l’associazione – perché indebolisce la capacità della comunità internazionale di affrontare gravi crisi dei diritti umani come quelle in Darfur, Cecenia, Colombia, Afghanistan, Iran, Uzbekistan e Corea del Nord. Questo atteggiamento consente agli autori delle violazioni dei diritti umani, in questi e altri paesi, di continuare ad agire in impunità.

Quando il governo di Londra rimane muto di fronte alla detenzione arbitraria e ai maltrattamenti a Guantánamo, quando gli Usa ignorano la proibizione assoluta di tortura, quando i governi europei tacciono sulle proprie responsabilità in tema di trasferimenti illegali di prigionieri, razzismo e rifugiati, essi pregiudicano la propria autorità morale di difendere i diritti umani nel mondo.

In un anno in cui hanno speso gran parte del tempo a parlare di riforme e di composizione dei loro principali organismi, le Nazioni Unite non hanno prestato attenzione al comportamento di due membri-chiave come la Russia e la Cina, che hanno fatto prevalere i propri limitati interessi economici e politici nei confronti delle preoccupazioni sui diritti umani a livello nazionale e internazionale.

Nel 2005, coloro su cui, nel Consiglio di Sicurezza dell’Onu, ricade la maggiore responsabilità di salvaguardare la sicurezza globale, sono stati i più attivi nel paralizzare questo organismo e impedirgli di svolgere un’azione efficace in difesa dei diritti umani.

I governi che hanno potere stanno giocando in modo pericoloso con i diritti umani. Il punteggio ottenuto, attraverso il proseguimento dei conflitti e il crescendo di violazioni dei diritti umani, è sotto gli occhi di tutti.

Tuttavia, nel 2005 si è assistito a un mutamento dello stato d’animo dell’opinione pubblica. La pressione popolare che sta emergendo va usata in modo efficace per trasformare l’attuale irresponsabilità internazionale in azione concreta in favore dei diritti umani.

Pobbiati ha concluso la presentazione del Rapporto Annuale ricordando le principali richieste di Amnesty International per l’anno in corso:
- alle Nazioni Unite e all’Unione Africana, di affrontare il conflitto e gli abusi dei diritti umani nel Darfur;
- alle Nazioni Unite, di avviare i negoziati per un Trattato internazionale che regolamenti il commercio delle armi, in modo che queste non possano essere usate per commettere abusi dei diritti umani;
- all’amministrazione Usa, di chiudere Guantánamo Bay e rendere noti i nomi e i luoghi di detenzione di tutti i prigionieri della “guerra al terrore”;
- al nuovo Consiglio Onu dei diritti umani, di insistere nel pretendere i medesimi standard di rispetto dei diritti umani da parte di tutti i governi, che si tratti del Darfur o di Guantánamo, della Cecenia o della Cina.
Roma, 23 maggio 2006

Consulta il RAPPORTO ANNUALE 2006


Fonte: Amnesty International
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