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"Le brave ragazze vanno in paradiso le cattive dappertutto"

Ultimo Aggiornamento: 19/10/2008 00:59
19/10/2008 00:59
 
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"Le brave ragazze vanno in paradiso le cattive dappertutto" di Ute Ehrhardt
Parlare oggi nella società occidentale dell’emancipazione della figura femminile, della lotta all’affermazione dei diritti della donna potrebbe forse sembrare a prima vista anacronistico, addirittura inutile ai più scettici. Eppure è proprio nel cuore degli anni Novanta che nasce dalla mente ribelle ma riflessiva di Ute Ehrhardt, nota psicologa tedesca, un libro brillante e pur se a tratti eccessivo, decisamente rivelatore di quelle che sono le piccole e grandi trappole che ostacolano quotidianamente l’affermazione della donna: le brave ragazze vanno in paradiso le cattive dappertutto.

Chi sono le brave ragazze di cui parla Ute? Sono donne invisibili, innocue, trasparenti, che per voler accontentare tutti, deludono in prima persona sé stesse. Sono donne che vivono le proprie esistenze nella mediocrità per non risultare di intralcio agli altri. Sono donne che rinunciano a sé stesse, ai propri obiettivi, al proprio io, per scarsa fiducia nelle proprie capacità. Sono donne sempre docili, sorridenti, comprensive, belle che moderano le loro pulsioni non per reale convinzione bensì per non apparire eccessive e sentirsi sempre accettate. Sono donne che si illudono che un beneficio immediato o a breve termine sia da preferire a uno duraturo. Sono donne che ripudiano il potere o che per eccessivi slanci di modestia rifiutano di prendersi i loro meriti e si declassano a svolgere mansioni che non le spetterebbero. Sono donne che non dicono mai no e vivono nel sacrificio fino alle estreme conseguenze: la loro morte interiore o lo sfogo finale, rabbioso, insensato agli occhi altrui. Quegli stessi occhi di quelle persone che consideravano a loro tutto dovuto, che hanno preso senza neanche dover mai chiedere e che pertanto non si sentono neanche in debito di nulla, persino di un grazie. Si proprio quegli occhi che di fronte allo sfogo o alla palese quotidiana insoddisfazione della donna , mascherata magari sotto quel sorriso arrendevole alla Monna Lisa, non fanno altro che constatare che in effetti tutto questo sta rendendo quella donna realmente meno affascinante e attraente. E glielo fanno pesare abbandonandola o buttandole addosso l’arma letale del senso di colpa uccidendola così ancora di più.

Masochismo? Certo che no!Tutto questo è ovviamente il risultato di un retaggio culturale che induce in modo subdolo le donne a crescere in un clima di totale insicurezza che facilita l’attecchimento di false convinzioni in merito a quelle che sono le proprie potenzialità. L’educazione data dall’infanzia alle bambine, palesemente diversa rispetto a quella impartita ai coetanei maschietti, disincentiva certi comportamenti , trasmette sfiducia se non addirittura paura e alla fine come risultato conferirà alla ragazza in età pubere quel comportamento tipicamente femminile che a torto sarà definito innato.

Tale processo iniziato con naturalezza fin dall’infanzia è poi proseguito ad arte nell’età adulta mettendo in atto meccanismi ben noti alla psicologia come l’incapacità appresa e la self-fulfilling prophecy. Nel primo caso, infatti, le donne si convincono a tal punto di non essere in grado di svolgere un determinato compito che alla fine riescono effettivamente a dimostrare a sé stesse di non saperlo fare, ma non per incapacità reale, bensì per mancanza di impegno e di intraprendenza in merito. Nel caso della self-fulfilling prophecy, invece, le donne si creano delle determinate aspettative riguardo ad una avvenimento futuro che quando si verificherà per semplice casualità o per mero fatto probabilistico, sarà sufficiente quel singolo evento per cancellare tutti gli altri ad andamento opposto e dimostrare a sé stesse che le cose stavano come le prevedevano e che non esiste possibilità di cambiamento.

Si instaura così una sorta di circolo vizioso che persuade le donne a non tentare il salto di qualità, ad accontentarsi, a vivere all’ombra di altri, salvo poi un giorno guardarsi allo specchio e non riconoscersi in quel ritratto sbiadito che di certo non le rappresenta.

E’ importante, invece, che le donne prendano coscienza di tutto questo e arrivino a rendersi conto che l’indipendenza non crea solitudine, ma è l’unica via da percorrere per raggiungere l’autonomia, dote imprescindibile per allacciare rapporti rilassati e aperti. Essere cattive non ha nulla a che vedere con la moralità. Essere cattive è riconoscere sé stesse e le proprie attitudini, è saper imporre il proprio punto di vista, è non dire sempre si se non si è convinte realmente di quel si. Soltanto quando saranno note le proprie inclinazioni e ci sarà piena coscienza di sé stesse, aiutare gli altri, essere gentili, sorridere, comprendere e quant’altro diventeranno atto di libera scelta e dunque non più coercizione.

Ogni donna e in generale ogni essere vivente dovrebbe, però, ricordare che :“E’ raro che quello che ti spetta ti venga dato spontaneamente!” Lottare per i propri obiettivi è atto imprescindibile. Condizione necessaria e sufficiente è fissare questi obiettivi !

I risultati non saranno immediati perché “Ciascun processo di trasformazione richiede tempo, che si tratti di cambiamento personale o di processo sociale. La cosa certa è che i cambiamenti delle strutture sociali, nello specifico della nuova posizione della donna, sono complessi. Per questo potrebbero volerci generazioni per ottenere dei risultati.” Ma vista la posta in gioco altissima, vale la pena lottare per destabilizzare questo sistema mentale che ancora oggi impedisce alla donna di affermarsi e in una sorta di auto-sabotaggio quotidiano la trasforma con le sue stesse mani in essere subordinato all’altro.

Basta dunque vivere nell’ombra! L’alternativa non è emulare il modello maschile, ma portare a compimento la reale essenza di quello femminile! Per quello che veramente è, senza più pregiudizi
[Modificato da FidelisAdmin 20/10/2008 15:48]
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